Peppuccio il Mangiapreti [ilconsiglio.blogspot.com]

Quando saltano i nervi si perde il controllo e si comincia a mordere a casaccio a destra ed a manca come rabbiosi cani randagi. E nel canile della politica italica i nervi sono saltati da un pezzo.

Basta vedere i ridicoli attacchi a Berlusconi: dal tormentone estivo di “Papi”, alle tombe etrusche in Sardegna.

E senza dimenticare la vergognosa polemica che ha accompagnato la presentazione a Venezia dell’ultimo film di Tornatore, con una certa sinistra che scopre improvvisamente che la casa di produzione (la “Medusa”)

appartiene proprio a “Papi”, con la novità delle proteste per le riprese effettuate in Tunisia (facendo finta di non sapere che uno dei principali produttori del film è un imprenditore tunisino, Tarak Ben Ammar [*]), e pure con Sgarbi che riesce velenosamente a farci entrare la mafia.

E non scordiamoci un’altra pagliacciata degli ultimi scampoli di estate, e cioè quella che ha visto come vittima sacrificale l’oramai ex direttore di Avvenire, Dino Boffo. Una pagliacciata che come le altre nasconde forte nervosismo negli avversari e negli alleati del solito “Papi”. Chi è l’avversario (o l’alleato) in questo caso non è difficile da capire: Berlusconi ed il papato sono ai ferri corti.

Quello che non è ben chiaro è quale sia l’oggetto del contendere.

Come tutti sapete, da queste parti ci piacciono la fantapolitica ed il cospirazionismo, e siccome siamo anche siculocentrici la riposta è ovvia: il principale oggetto del contendere è l’isola di Trinacria.

Cioè: il film girato da Peppuccio e prodotto da Papi ha contribuito a fare andare su tutte le furie l’entourage del Papa. O forse più che il film di Tornatore (Baarìa, che ancora non abbiamo visto…) sono state le sperticate lodi ad esso rivolte da Berlusconi non da semplice produttore, ma nella veste di Presidente del Consiglio (di norma, un produttore non esorta tutti gli italiani di andare a vedere il proprio film). Lodi sulle quali si è soffermato meravigliato lo stesso regista (intervista rilasciata a La Sicilia del 3 settembre 2009):

“Sarei ipocrita a dire che non mi ha fatto piacere, soprattutto perché arriva da una persona che la pensa diversamente da me in politica. (…) E’ stato nel giudizio positivo un po’ intempestivo.”

Le prime crepe nella decennale alleanza tra la Chiesa e le logge padane (leggi P2) sono apparse alla vigilia delle scorse elezioni europee, quando il pecoraio tentò l’annessione definitiva della Sicilia con la formazione del PDL (vedi il post “Incartati neri”). Il colpaccio fallì a causa dell’opposizione di Dell’Utri, Miccichè e Lombardo (affiancati nell’occasione dal sindaco antimafia Crocetta, una cosa da sbellicarsi dalle risate) e di quella importantissima del Vaticano. Invece del progettato 50%, il nuovo soggetto politico si ritrovò in Sicilia con un magro 36%.

Il soglio di Pietro non aveva visto di buon occhio il tentativo del paramassone per un semplice (ed ovvio) motivo: a papparsi la Sicilia voleva essere lui. E nel dopo elezioni pensò di avere il campo libero.

Evidentemente aveva frainteso il “Non cambio, agli italiani piaccio così” di Berlusconi. Qualcosina purtroppo (o per fortuna…) è cambiata, ed invece di mantenere le distanze dagli interessi della Chiesa in Sicilia, ha deciso di contrastarli aiutando la Sicilia a non cadere nelle mani di Sua Santità rafforzandola sia dal punto di vista logistico (vedi il post “In carrozza, si riparte”: senza certi aiuti tutto questo non sarebbe stato possibile) che da quello dell’immagine e del radicamento dell’identità divaricandola ulteriormente da quella del meridione d’Italia [**].

Ed è proprio qui che potrebbe inserirsi il film di Peppuccio e la presenza al lido di una Cucinotta ghibellina [***] e dalle forme visibilmente anti-papaline come madrina della manifestazione:

Un tale scenario può essere verosimile? Chi conosce la storia e sa interpretarla potrebbe già aver capito dove si sta puntando.

Le lotte tra la Sicilia ed il papato sono ben conosciute: dall’estorsione della Legatio alla quale si dovette sottomettere Papa Urbano II, ai tentativi di recuperarla sfociati nei duecenteschi Vespri e nella settecentesca “Controversia Liparitana”. Senza contare le scomuniche a Federico II, reo di essersi alleato con musulmani e ortodossi (e di essersi incoronato da solo).

Ci fu un momento però in cui la Chiesa credette di poter vincere definitivamente la guerra, quando nel 1816 per mano dei Borbone ci si “inventò” il Regno delle Due Sicilie, effimero esperimento poi sommerso dall’epopea risorgimentale.

Con il disfarsi dello Stato Italiano, creatura posticcia figlia di quel risorgimento, oggi il ritorno del Regno di Sicilia è temuto da molti, a Londra ma anche in Vaticano.

Quale migliore soluzione per le brame pontificie se non la riproposizione politica di quella che in fondo fu anch’essa una creatura risorgimentale, appunto il guelfo Regno delle Due Sicilie?

L’azione “sicilianista” di Berlusconi tuttavia non è priva di interessi personali. Divaricare la Sicilia dal Sud Italia permetterà infatti ai padani di mantenere il controllo su Napoli a scapito del Vaticano. Un disegno irto di insidie anche per noi: la Sicilia per prosperare ha bisogno di un Sud Italia stabile politicamente, ed il contrasto tra “padania” e Vaticano, una volta crollato il fronte massonico anglosassone, rischia di degenerare in guerra civile. Con ripercussioni anche da questa parte del faro.

Una soluzione potrebbe essere quella di liberare il meridione d’Italia da sud secondo un processo “federiciano” (fu Federico II che consolidò l’unificazione di Sicilia e dell’intero Sud Italia in un unico Regno di Sicilia) in opposizione al processo “borbonico” proposto da Roma. E per fare questo la Sicilia deve essere capace di camminare sulle proprie gambe.

Il famigerato (e finora anche fumoso) partito del sud proposto ed oggi ri-proposto da Miccichè ed avversato sia da Berlusconi che da qualche uomo di Chiesa, potrebbe permettere di intraprendere questa via federiciana. Val la pena ricordare che fu lo stesso Miccichè qualche mese fa a mettere in campo Federico II (“Micciché vuol cancellare Garibaldi”, IlGiornale.it, 21 aprile 2009):

Via Giuseppe Garibaldi dalle… vie di Sicilia. Dalle vie, dalle strade, dalle piazze, da dovunque. E largo a Federico II, che invece davvero ha dato lustro alla Sicilia.

I politici siciliani (primo tra tutti Raffaele Lombardo con la sua più ponderata via “autonomista”) rimangono però ambigui sull’argomento, non potendosi permettere uno scontro in campo aperto né con Berlusconi né con il Vaticano [****]. La cartina di tornasole del saldarsi delle nuove alleanze sarà forse la formazione di questo benedetto “Partito del Sud”? Se Arcore (anche sottobanco) si mostrerà più disponibile verso il nuovo soggetto politico, utile come argine da opporre all’espansionismo pontificio, vorrà dire che la via “federiciana” potrebbe avere la meglio.

Lo spazio messo a disposizione della Sicilia in laguna vorrà pur dire qualche cosa.

Che santa MariaGrazia, madrina di Venezia, ci protegga dalle tentazioni ultraterrene.

Nota finale: L’attacco più volgare contro Tornatore e gli altri, anche se indiretto, proviene dalla Sicilia. Il direttore di SiciliaInformazioni.com, a causa della rabbia di cui sopra, si è “impappinato” sul titolo di un film prodotto dalla Cucinotta, che da “Viola di mare” è diventato “Minchia di mare”. Risolto “l’equivoco” grazie all’intervento dell’autore del libro, dal giornale non sembra siano arrivate le dovute scuse alla Cucinotta, al regista ed a tutti i Siciliani.

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[*] Ma non si diceva che uno dei modi per affrontare la crisi dell’emigrazione era portare lavoro e sviluppo a casa loro? Ed ora che anche grazie alla Sicilia questo avviene, qualcuno continua a lamentarsi…

[**] Da rilevare come in certi ambienti cattolici sin dall’800 si sia assegnata al nazionalismo siciliano una radice liberal-massonica, a partire dalla storia dei Vespri apparentemente riscritta in funzione anti-papale dal rivoluzionario Michele Amari. Al solito, si tace l’esistenza di una fonte scritta in siciliano e contemporanea agli eventi (“Lu rebellamentu di Sichilia”, 1290) che descrive e rivela la congiura pontificia.

[***] Il termine “ghibellino” deriva dal nome del castello di Waiblingen, di cui erano signori gli Hoenstaufen di Svevia, il casato di Federico II.

[****] Neanche il Vaticano, a ben vedere, può permettersi oggi uno scontro in campo aperto con la Sicilia. Sarebbe un enorme regalo a Gheddafi ed a Putin, o meglio a musulmani ed ortodossi. Di nuovo, Federico II docet.

Fonte: ilconsiglio.blogspot.com