Crisi nera, 100 tecnici siciliani contestati nel Regno Unito. La guerra tra poveri sconvolge il mondo.

Che cosa sarebbe successo se in Sicilia o altrove, nella Penisola, fossero sbarcati 100 tecnici britannici per effettuare delle opere di manutenzione in una fabbrica? Se lo sbarco fosse avvenuto in Lombardia, il Ministro Bossi, e non gli operai disoccupati dell’area, avrebbe inscenato manifestazioni di protesta sventolando bandiere verdi di rabbia e chiedendo di rimandare a casa tutti gli stranieri, nessuno escluso, che “infestano” la Padania togliendo il lavoro ai lumbard. Le ha detto queste cose tante volte prendendosela con i maestri e i professori meridionali ed ha preteso che in tante citta’ governate dalla Lega fosse data priorita’ ai residenti.
Se lo sbarco si fosse verificato nell’Isola, dove l’ostracismo agli stranieri non ha tradizione, la politica se ne sarebbe occupata eccome. Se ne sarebbero rimasti con le mani in mano le organizzazione dei lavoratori?

Affatto, sarebbero scesi in piazza, non avrebbero potuto starsene a guardare.

Questo non vuol dire che abbiano ragione gli operai “british” a protestare contro i 300 tecnici siciliani dell’Irem, ma semplicemente che l’episodio non puo’ essre liquidato come un caso di xenofobia, razzismo ed altre sciocchezze di questo tipo.

Nel Regno Unito imperversa la disoccupazione ed il leader laburista Gordon Brown non sa dove sbattere la testa.

Eppure, di questo gli va dato atto, ha preso le parti degli operai siciliani che attendono di lavorare al petrolchimico. E qualche altro pezzo grosso inglese ha invitato le migliaia di operai arrabbiati che stazionano nei pressi della nave che ospita i tecnici siciliani, a cercare lavoro in Europa.

Pensate che ci sarebbe stato un leader in Italia, capace di dire altrettanto? Se ci fosse stato, gli avrebbero dato i domiciliari.

La crisi economica induce a sgomitare, stimola l’egoismo, mette in campo le regole del “mors tua vita mea”, scarta i ragionamenti razionali. Stando alle regole europee, i tecnici siciliani hanno il diritto di sbarcare in massa ovunque nei Paesi dell’Unione europea per lavorare, a maggior ragione se la loro azienda, l’Irem di Siracusa, ha vinto una gara d’appalto e deve effettuare il lavoro che gli e’ stato “consegnato. Se l’Irem non potesse farlo, sarebbe il committente a pagare e, per questi, lo Stato che non ha tutelato il diritto al lavoro dei cittadini europei.

La Gran Bretagna ha utilizzato il meglio di cio’ che l’Europa e’ riuscita a costruire, si e’ presa la polpa ed ha sputato l’osso.Per esempio, non ha adottato la moneta europea ed ha mantenuto sistemi di conto ed altre abitudini tipicamente inglesi; in politica estera poi ha privilegiato le alleanze Oltreoceano, quelle che hanno suggerito a Tony Blair di seguire George Bush nella guerra all’Iraq provocata dalle menzogne degli spioni, dai bisogni energetici statunitensi e dalle lobby dei trafficanti d’armi. Ora che a causa della crisi tutto il mondo e’ paese, come dicevano i nostri nonni, e che dagli States non arriva polpa ma lacrime e sangue, le scarpe stanno strette. I due forni sono diventati uno solo.

Ora il Regno Unito deve dimostrare di meritarsi la polpa europea. Se passassero le ragioni della protesta, si creerebbe un principio disastroso, venendo meno il diritto alla liberta’ della manodopera nei Paesi EU. Il governo di Sua Maesta’ deve stringere i denti e trovare una soluzione, rassicurando quei lavoratori che temono di essere stati buttati a mare a causa dello sbarco dei siciliani.

Compito non facile, ma ineludibile.

L’episodio induce a porsi qualche domanda, che riguarda la Sicilia.

Doveva proprio toccare ai siciliani sperimentare la protesta dei disoccupati inglesi? Una disdetta.

E non c’era da aspettarsi che con uno sbarco massiccio, ben 300 unita’ lavorative, in tempi cosi’ difficili, l’evento non sarebbe passato inosservato?

Non abbiamo memoria di eventi simili: a meno che non si tratti di paesi sprovvisti di manodopera specializzata, come in Africa e Medio Oriente, le aziende italiane non si sono portate appresso un esercito di tecnici.

Possibile che nessuno in Gran Bretagna sapesse fare cio’ che viene richiesto ai siciliani? Pobabilmente sarebbe bastato mettere dentro anche i lavoratori del posto per evitare la protesta.

Non e’ avvenuto e questo fa pensare.

Leggere in alcuni giornali italiani – naturalmente padani – che occorre mettere in campo ritorsioni verso lavoratori stranieri, e’ preoccupante oltre che dannoso.

Per potere innestare, il meccanismo della guerra allo straniero, la stampa padana evita di far sapere che a subire la protesta dei british sono i tecnici siciliani. Nei titoli e nel testo non una parola sulla provenienza dei lavoratori sbarcati nel Regno Unito. Per chi e’ abituato a leggere puntualmente la provenienza geografica degli autori dei crimini piu’ efferati, si tratta di una novita’.

In Sicilia, e’ bene ricordarlo, sono sbarcati negli anni sessanta, proprio nelle aree petrolchimiche, migliaia e migliaia di tecnici, dirigenti, funzionari settentrionali dall’oggi al domani. Sono stati accolti con le braccia aperte perche’ da loro c’era solo da imparare.

Per decenni non c’è stato un dirigente siciliano in alcuna grande fabbrica dell’Isola; i quadri intermedi erano affollati di uomini provenienti dal cosiddetto triangolo industriale. Mai una protesta.

E che ci fosse bisogno di lavoro nel Sud a quel tempo, e’ noto a tutti.

Salvatore Parlagreco
01 febbraio 2009
http://www.siciliainformazioni.com

commento di un Anonimo:

“Mi è piaciuta l’idea che un’azienda di successo dell’isola è “italiana” per i media italiani, mentre un delinquente è sempre e soltanto “siciliano”. Poi ci stupiamo che noi siamo i primi a dare addosso a noi stessi. Ormai non ce ne accorgiamo neanche più. Comunque va dato atto al governo inglese di aver risposto nel miglior modo possibile a questa triste vicenda.

Una volta tanto siamo noi a “colonizzare” loro. Questo dimostra che le economie che vivono di prodotti e di competenze reali hanno meno da temere dalla crisi.

La Sicilia è stata tenuta incatenata dallo strozzinaggio di un’economia finanziaria ad essa aliena e dalle vessazioni, molte delle quali invisibili, del centralismo e del colonialismo italico (lo so, dispiace dirlo, pure a me, ma è così). Lasciati liberi saremmo uno dei paesi più ricchi al mondo.”