Sostegno de L’Altra Sicilia a Monsignor La Piana contro la ”cappa massonica”
L’Altra Sicilia – Antudo, associazione di diritto internazionale al servizio della Sicilia e dei Siciliani, esprime vivissimo apprezzamento per le decise parole di denuncia pronunciate dall’Arcivescovo di Messina, Monsignor Calogero La Piana, in riferimento alla “cappa massonica” che opprime la città dello stretto ed i suoi abitanti.
Ci auguriamo che il coraggio dimostrato da Sua Eccellenza, dopo aver finalmente squarciato questo velo del silenzio steso con la complicità di parecchie autorità politiche siciliane, si diffonda presto nell’isola contagiando tutti i settori della società civile come un altro importante tassello per il definitivo risveglio del Popolo Siciliano al di qua ed al di lá del faro.
L’Altra Sicilia, già impegnata da tempo con abnegazione sul fronte della battaglia per la rinascita della Sicilia, non mancherà di dare il suo apporto anche in quest’ambito.
Il Presidente,
Francesco Paolo Catania
L’Altra Sicilia, Bruxelles
“La città vive sotto una cappa massonica”
Il grido di dolore: dietro le apparenze c’è gente che controlla i meccanismi per garantirsi potere
Ha “studiato” per due anni. Ventiquattro mesi di servizio, senza urla, senza strepitì – non è nel suo carattere – facendo sentire la sua voce solo nei momenti indispensabili: i passaggi spirituali in cui il Pastore indica la strada al suo gregge e durante alcune vertenze lavoro (Birra Messina, Molini Gazzi, Pumex e collegamenti con le Eolie).
Per il resto un attento “apprendimento”. «Perché solo la conoscenza può portare alla riorganizzazione e quindi al rinnovamento» dice. Per due lunghi anni, ovvero da quel 13 gennaio 2007, quando mons. Calogero La Piana si è insediato nella sua nuova Chiesa, l’Arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela, una delle più vaste d’Italia, con oltre 600 mila abitanti, 244 parrocchie, 16 vicariati, 241 sacerdoti secolari e 130 regolari, con una media di 1405 battezzati per sacerdote.
Ventiquattro mesi per capire la realtà che lo circonda, prendere decisioni importanti e soprattutto far ascoltare il timbro vero della sua voce: pacato, ma fermo. Deciso. Con obiettivi precisi. E con idee altrettanto chiare, che al termine di quasi due ore di intervista trovano la sintesi. Sintesi che viene fuori come il magma dal vulcano. Come profonda ferita nel cuore del Pastore che vorrebbe vedere il suo gregge non smarrirsi per percorsi impervi.
«C’è una forma di ipocrisia che è tipica della nostra città. Una città che troppo spesso vive di effimero e di apparenza. E l’ipocrisia è l’espressione di una realtà più vasta che è la massoneria. La nostra è una città che vive sotto una cappa massonica che controlla tutto e tutti, che impedisce lo sviluppo per poter dominare tutto. Guardate a fondo cosa c’è sotto lo strato che si vede in superficie, dietro la vetrina. Il controllo dell’economia, di opportunità di lavoro. Alla fine, questo rende la città sottomessa a logiche che non consentono a chi ha capacità di potersi realizzare, di esprimersi. O entri nel meccanismo o non avrai spazio: è un clima massonico, c’è chi lavora perché tutto appaia in un certo modo e che impedisce l’espressione della creatività dei messinesi. In città ci sono tra 32 e 38 logge massoniche».
– Esistono delle commistioni tra Chiesa e massoneria messinese?
«Cosa dire: non credo e lo dico col cuore. Credo che la Chiesa venga, invece, strumentalizzata. A molti massoni fa comodo mascherarsi da uomini vicini alla Chiesa, in modo da potersi costruire una veste di “buono”. Ripeto: non credo che la Chiesa sia implicata, ma ci sono persone che fanno parte di questi meccanismi che sono vicine».
– Nella recente omelia, in occasione della celebrazione per il centenario del terremoto, lei ha richiamato le istituzioni ad un impegno responsabile per completare la ricostruzione di Messina. Salesiano e uomo di popolo, avverte il senso generalizzato di sfiducia da parte della gente nei confronti della classe politica?
«I cittadini sono smarriti, non sanno più a chi rivolgersi, con chi interloquire per i loro bisogni. Non ottengono risposte da troppo tempo: Messina è in depressione sociale, lo si avverte giornalmente. È un problema serio. La dignità sociale viene calpestata quando i livelli di trasporto pubblico sono questi, quando le persone vivono ancora nelle baracche. La nostra gente sente parlare da anni di completamento di nuovi svincoli, potenziamento dell’approdo di Tremestieri, di un atteso risanamento, di una oculata politica edilizia e del lavoro. E non si possono dimenticare i 45 villaggi, spesso al collasso, forse quelli non sono cittadini? Tutto questo è frustrante. Persino il Palazzo della Cultura a Messina nasce vecchio di trent’anni».
– Ma è un problema legato ad una mediocre classe politica messinese?
«Non entro assolutamente nelle valutazioni dei singoli, per carità. Non è il mio stile e non è mio compito. Io parlo di un sistema generalizzato, che caratterizza anche il resto dell’Italia. Manca la vera formazione politica dei nostri amministratori, quella politica a servizio della collettività. Non ci si improvvisa politici, molti invece lo fanno per assicurarsi uno stipendio, un posto di lavoro per alcuni anni. Il modus operandi è chiaro: obbedisce a progetti di classe, di settori, di famiglie, non a un progetto di bene comune. C’è sempre il prevalere di un interesse privato, di qualche famiglia».
– Gli scandali all’Università sui concorsi con il rettore sospeso, il presidente della Provincia indagato, lo sviluppo selvaggio dell’edilizia con alcune inchieste in corso. Si riferisce a questo?
«No, mi creda, lo ripeto. Non parlo di singole persone o di singole istituzioni. Il mio è un discorso generale: mi riferisco ad un indirizzo generalizzato, ad un modo di fare che caratterizza la nostra Nazione, la nostra regione, la nostra città. Perché stupirsi dell’Università, il sistema clientelare è ovunque, anche nelle piccole cose. È un modo di essere».
– Dopo qualche mese dal suo arrivo in città, Lei parlò di «assenza di senso civico e sociale». Anche recentemente è stato chiaro: è necessario ricostruire i valori per ricostruire la città e la società.
«È la conseguenza di quanto ho detto prima. O si ricostruisce un vero senso civico, un nuovo stato civile o non c’è speranza. Siamo afflitti dalla degradazione della sessualità, dalla visione materialistica ed edonista della vita, dall’affievolirsi dell’amore per il focolare domestico, l’atteggiamento troppo permissivo dei genitori, la scarsa incidenza della proposta educativa e formativa, l’indebolirsi dei vincoli familiari. E poi manca la cultura dell’osservanza delle leggi e in alcuni casi anche chi è chiamato a farle rispettare per lacune di organico. Porto un esempio, ma ci tengo a sottolineare che si tratta di un semplice esempio: guardate cosa accade il venerdì e il sabato notte nel centro della città. È una giungla, non ci sono regole, non c’è il minimo rispetto per l’altro».
– Nel corso di un incontro pubblico ha detto che «Lo Stretto di Messina si sta restringendo sempre di più, lo Stretto ci sta troppo stretto e dobbiamo tutti impegnarci per allargare la città dello Stretto con la creazione di nuovi e ampi spazi». Di quali spazi parla?
«Mi riferisco agli spazi di socializzazione, quelli che ti consentono di comunicare direttamente, di scambiare concetti, di fare cultura. Se non c’è relazione, non c’è sviluppo. E parlo degli spazi vitali ed esistenziali per assicurare e garantire sostegno alla famiglia, diritto al lavoro, alla casa, alla salute e ad una esistenza decorosa».
– Come può accadere nel 2009, che due fratelli muioiano di stenti in una casa e per tre-quattro mesi nessuno si accorga di nulla?
«Perché la gente ha paura di aprirsi all’esterno, ha perso la speranza. Siamo tutti guardinghi, non c’è fiducia nell’altro. Ognuno guarda al proprio orticello, senza preoccuparsi di cosa succede a pochi metri di distanza».
– La Chiesa ha delle responsabilità per questo clima generalizzato di sfiducia presente tra la gente?
«Vuol sapere se la gente si sta allontanando da noi? La gente, come le ho detto, si allontana da tutto e si chiude in se stessa. Ma noi non ci tiriamo indietro – sorride –. Ne parlavo qualche giorno fa con il questore Mauro: mi ha detto che la Chiesa è ormai l’unica Istituzione a essere rimasta vicina alla gente. Dove c’è una parrocchia, c’è una casa, c’è un centro di socializzazione. Ma c’è bisogno dell’aiuto di tutti, soprattutto nei rioni abbandonati e nei più malfamati. Proprio il questore mi ha confermato che sarà aumentata la presenza delle forze dell’ordine anche a S. Lucia sopra Contesse e a Bisconte. Ho chiesto che la stessa cosa venga fatta a Giostra, a S. Matteo».
– Proprio pochi giorni fa il danneggiamento delle finestre della parrocchia dell’oratorio salesiano. Atto intimidatorio vista la grande opera dei salesiani in quel quartiere controllato dalla criminalità o semplice bravata?
«Se devo esprimere un parere, penso più alla bravata, tipica di una gioventù che in quei luoghi tende a dimostrare la propria forza in questi modi. Basta dare uno sguardo in giro, nella piazza, per avere un’idea. Ma questo non vuol dire che sottovaluteremo il problema. Il messaggio è chiaro: se qualcuno pensa di intimidirci sbaglia di grosso, la storia dei salesiani lo dimostra. La parrocchia e la diocesi si sono accollati un mutuo per ristrutturare il teatro, che si aspetta da decenni, ma i fondi non basteranno (servono altri 300 mila euro, ndc). Ho detto al parroco di non abbattersi, ce la faremo».
– Da San Matteo a Santa Lucia sopra Contesse il passo è breve. A che punto è il progetto del centro socio-pastorale?
«Ho chiesto la rivisitazione del progetto, perché com’era non andava bene. Troppo grande e troppo dispersivo, sarebbe stato difficile da gestire, anche come costi. Preferisco le cose meno roboanti, ma molto più funzionali. Sto aspettando il nuovo progetto da parte dei tecnici».
– Facciamo un gioco: per un giorno è il sindaco o il presidente della Provincia. Quale futuro darebbe alla città dello Stretto? In che direzione andrebbe?
«Due direzioni: la prima riguarda la custodia delle bellezze naturali, inestimabili, della nostra città. Nessuno potrà mai toglierci quello che il Creatore ci ha donato e bisogna fare in modo di custodirlo e potenziarlo. Rendiamo visibili, ma davvero, quelle bellezze che sono state nascoste negli anni. Parlo della Zona falcata, parlo del nostro lungomare. Basta guardare Reggio Calabria, in un chilometro hanno fatto un lavoro splendido. Pensate a cosa sarebbe il nostro affaccio a mare riqualificato. Ma la seconda direzione è forse più importante: mi riferisco ad una vera politica di promozione culturale. A questa città manca la creatività, lo spirito di iniziativa, ma non solo da parte delle istituzioni. Parlo della gente: forza, coraggio! Bisogna uscire dalla logica del posto fisso ed essere capaci di inventarsi anche il lavoro. A costo, come ho detto all’inizio, che ti permettano di realizzarti: ma i cambiamenti si affrontano con grande volontà e impegno. Tre parole fondamentali: senso del lavoro, rigore e impegno. Qui spesso non sappiamo accontentarci».
– La commemorazione del centenario del terremoto poteva essere una grande occasione. In realtà, a parte le iniziative religiose, è stato un flop.
«Anche io avevo immaginato altro. Avevo anche proposto un atto simbolico: la costruzione di un’opera importante sotto il profilo morale, anche un centro sociale sarebbe andato bene, in una zona degradata della nostra città. Avevo pensato a Fondo Fucile. Un segno per dimostrare che si può risorgere. Non ho avuto risposte. Il resto è stato una seria di mostre e conferenze accademiche».
– Il campanile del Duomo è stato votato dai turisti tra le prime tre Torri-orologio d’Europa. Ma a che punto sono i lavori della Cripta?
«Abbiamo risolto il problema dell’ingegneria idraulica con due pompe che aspirano l’acqua, la apriremo nel mese di marzo per tre giorni in occasione delle feste del Fai. La Sovrintendenza sta preparando un progetto di restauro interno per arrivare all’agibilità e di conseguenza ospitare un luogo di cultura. Ma torno un attimo al Campanile. Non c’è un bagno pubblico nella piazza, eppure il parroco li ha richiesti a tutte le amministrazioni che si sono succedute».
– Processione della Vara, di S. Agata, di S. Rosalia. Feste di religione e popolo, in cui però spesso si mischiano sacro e profano con pericolosi risvolti, come dimostrano le inchieste delle procure di Messina e Catania. Qualcuno rimprovera alla Curia e al Comune uno scarso controllo su tutto ciò che gira attorno alla Vara con presenze inopportune.
«È un discorso complesso. Voglio sottolineare una cosa. A Messina non c’è quel giro di interessi economici che c’è invece dalle altre parti e a cui si interessa la criminalità. È vero che ci sono delle incrostazioni di tanti anni, ma è altrettanto vero che attorno alla Vara c’è il grande amore della gente. Non demonizziamo tutto, è una grande occasione in cui al cuore della gente può arrivare un segno di Dio, della Madonna; o attraverso una parola del vescovo, o attraverso altri gesti. E poi ricordate che i processi di purificazione sono lunghi».
– Due anni di Episcopato a Messina. Il suo personale bilancio.
«Il mio primo grande impegno è stato rivolto alla conoscenza territoriale della diocesi. Ho incontrato le realtà ecclesiali, quasi tutte le parrocchie. Ho voluto parlare con tutti i sacerdoti, presenti nei 16 vicariati. E tra aprile e maggio tornerò a incontrarli. Poi ho rinnovato gli organismi di partecipazione a cominciare dal Consiglio presbiteriale diocesano. A breve completerò anche il Consiglio pastorale diocesano e la Consulta aggregazione laicale. Oltre all’impegno per le lettere pastorali. E poi i giovani: la festa di Messina con 4.500 presenze, altre 2.000 a Barcellona e il prossimo grande raduno, nel periodo di Quaresima, è previsto a Taormina. Sapete l’amore che ho per i giovani».
– Che si allontanano sempre più dalla Chiesa.
«Perché noi marciamo controcorrente, a differenza di quelle “agenzie” (droga, sesso, sballo) che offrono l’illusione di una felicità facile a basso prezzo. Li invito a ritrovarsi, a guardarsi dentro. La felicità richiede un grande impegno, ma alla fine è eterna».
Mario Cucè