Lettera aperta a Vittorio Emanuele di Savoia

Ragusa, 12 Luglio 2002

Egregio signor Vittorio Emanuele,

ho letto, senza riuscire a sopprimere un certo senso di nausea, che il Parlamento ha concesso a lei e famiglia il benestare per il rientro in Italia.


Non voglio dilungarmi inutilmente in disquisizioni più o meno storico-moralistiche, voglio solamente dirle che, secondo il mio modesto punto di vista, che è anche quello di tantissimi meridionali che non si sono fatti troppo infinocchiare dall’epopea risorgimentale di certi libri cosiddetti scolastici, prima di rimettere piede sul suolo italiano dovrebbe compiere un’azione che nessuno le ha chiesto, ma che è alla base della vera pacificazione nazionale.

Un’azione che, tra l’altro, restituirebbe la dignità che avete rapinato ai popoli meridionali costringendoli ad una subalternità acuitasi nel corso dei decenni. In estrema sintesi, dovrete CHIEDERE SCUSA AL SUD.

A quel Sud che i suoi antenati hanno annesso al loro regno senza nessuna richiesta da parte dei popoli che lo costituivano.

Quegli stessi antenati che hanno mandato fior di macellai, ivi compreso il cosiddetto “eroe dei due mondi” di cui mi rifiuto persino di scrivere il nome, alla testa di improbabili eserciti costituiti da assatanati assassini. Dopo le scorrerie dei vostri cosiddetti generali, perfino Attila deve essere sembrato un brav’uomo agli occhi della storia.

Noi meridionali siamo assai orgogliosi di essere tali; meno, molto meno lo siamo di essere italiani per come ci hanno imposto di diventarlo. Né ci gratifica il fatto di essere rappresentati da una classe politica che ha votato per il vostro rientro. A questo proposito, mi piacerebbe molto sentire qualcuno di questi indegni figli del Sud che, per mero calcolo politico, hanno gettato una nuova vangata di fango sull’intero Sud. Sapere da loro se, per caso, hanno contezza di quali atrocità i suoi antenati sono stati capaci pur di annettere al loro un regno libero ed italiano come quello delle due Sicilie.

Purtroppo la tensione emotiva non vi impedirà di rientrare, ma almeno sappiate una cosa: qui, nel profondo Sud di questa Italia imposta dai suoi antenati, siamo in molti a non amarvi. Quindi, vogliateci fare la cortesia di restarvene nella vostra Torino ché al Sud le ferite del vostro risorgimento sono ancora tutte da rimarginarsi.

Voglia gradire tutto il mio disappunto per la sciagurata decisione di un Parlamento che, da oggi, rappresenterà l’Italia, ma non il sottoscritto.

Giovanni Cappello


L’Altra Sicilia – Ragusa