L’elemosina dei fondi strutturali europei crea assistenzialismo
Fermo restando che è vero che la burocrazia in Sicilia (ma forse in Italia, prima ancora) non è appieno quel fattore di produzione che dovrebbe essere, ma rappresenta piuttosto un freno all’economia siciliana, complessivamente non sono d’accordo, da studioso, sull’allarme lanciato da Micciché.
Cercherò di argomentare brevemente.
Intanto bisogna distinguere quanto ci sia di vero e quanto di falso sul tema della “burocrazia” asfissiante.
In mancanza di studi circostanziati si rischia di fare discorsi basati su luoghi comuni. Se è vero, infatti, che la Regione ha scelto in passato un modello “elefantiaco” per il proprio organico, e se è vero che questa scelta anti-siciliana è stata replicata ad ogni livello: nella para-regione, negli enti locali, negli enti finanziati dalla Regione e dovunque fosse stato possibile allocare posti di lavoro (rectius: stipendi) in cambio di consensi elettorali, è anche vero che non esiste paese al mondo in cui lo sviluppo non sia accompagnato da una buona pubblica amministrazione.
Bisogna stare attenti – in altri termini – che la furia iconoclasta dei risparmi pubblici non faccia buttare a mare quelle strutture che, magari in modo silenzioso, e nonostante ogni difficoltà, consentono ancora una qualche forma di insediamento produttivo nel territorio. Ma diamo pure per scontato che nella burocrazia pubblica siciliana, tutta, non ci sia nulla da prendere, che sia solo un peso allo sviluppo.
Il problema di fondo resta un altro. E cioè non è che la Sicilia “sarà una regione povera”. Essa “è”, purtroppo, tale anche al tempo presente e non per un destino cinico e baro ma per la sua collocazione politico-istituzionale, finanche per il sistema pubblico di finanziamenti che l’ha alimentata, anche quelli europei.
Il punto è semmai valutare cosa succederà all’esaurirsi dei fondi strutturali europei, e magari con l’avvio in simultanea del federalismo fiscale “a regime”.
E qui mi trovo a sostenere una tesi che a molti sembrerà scandalosa. Con l’attuale regime dei fondi strutturali europei non si crea alcuno sviluppo, ma solo ulteriore assistenzialismo. Sarebbe lungo da argomentare pienamente, ma la finanza derivata dall’Europa avrebbe potuto rappresentare un volano di sviluppo solo se indirizzata, unicamente, alla creazione di quelle infrastrutture (logistiche prima di tutto, ma anche culturali, umane) di cui la Sicilia è sempre stata storicamente carente. Di fatto essa ha alimentato di tutto, sempre che sia stata spesa: corsi di formazione professionale, iniziative imprenditoriali improbabili e così via. I fondi strutturali non solo sono stati storicamente inutili, ma hanno addirittura distorto l’economia da evoluzioni sane, forzandole in un insano dirigismo.
Ricordo qualche anno fa un imprenditore di servizi informatici che aveva meccanizzato diverse cliniche private, che mi diceva di aver …perso i clienti, perché queste ora si rifornivano presso costosissime imprese, molte delle quali non siciliane, che utilizzavano …”finanziamenti europei”. Di fatto le imprese sane non inserite nei “giri giusti” sono state emarginate o fatte fuori. E non aggiungo altro sul tema.
Anche sul federalismo fiscale ci sarebbe da dire molto.
Quello che si sta applicando non promette molto di buono, perché le regioni forti del paese vogliono trattenere e tratterranno non solo le risorse che producono (il che sarebbe già scandaloso perché blocca la naturale perequazione tra regioni ricche e povere) ma anche quelle che non producono come ricorda la ferma opposizione di Formigoni alla trattenuta delle accise petrolifere in Sicilia, presto accordata da Tremonti, anche in presenza di una Regione che potrebbe, con queste risorse prodotte nel proprio territorio, non aver bisogno di nessuno e farsi carico anche delle funzioni oggi esercitate dallo Stato in Sicilia, comprese quelle di polizia (artt. 20 e 31 dello Statuto).
Un federalismo così iniquo e vessatorio ci renderà poveri non perché “non ci manterranno più”, ma perché ci toglieranno anche quel poco che abbiamo per finanziare l’Italia e il suo deficit. Un federalismo coloniale, dunque, che non potrà certo essere dimenticato con le pompose celebrazioni di 150 anni di unità d’Italia che si preannunciano un po’ dappertutto, Salemi compresa.
E quindi la povertà sarà sì crescente, ma non perché finiranno le elemosine, ché quelle ci hanno reso sempre poveri, ma perché, in questo contesto italiano ed europeo non c’è spazio economico per la Sicilia.
Siamo condannati dall’esterno al genocidio economico e non abbiamo alcuna voce politica (o quasi) in grado di fermare questo dramma. In questo l’attuale governo siciliano non è criticabile anzi si trova in una posizione debole, drammatica, anche contraddittoria, che noi siciliani stentiamo a comprendere sino in fondo.
E’ scandaloso che l’Unione Euromediterranea non abbia sede in Sicilia, ancor più scandaloso che la Farnesina sponsorizzi Tunisi e non Palermo. Oggi l’Italia potrebbe bloccare tutto se non le si assegnasse la sede del segretariato, e questa sede non potrebbe che essere nel luogo dove i tre continenti si sono incontrati in modo più pacifico.
Ma non è così. L’isola non abbastanza isola non ha stato che la difenda, non ha voce, è esclusa dall’Europa e dall’Italia. Se non ci difenderemo da soli o se non intervengono fatti nuovi dall’esterno il circuito del sottosviluppo non si potrà mai interrompere.
Non di soldi italiani o europei avremmo bisogno, ma soltanto di una vera, sana autonomia finanziaria: poter decidere noi quanto carico fiscale far pagare a contribuenti ed imprese aventi sede in Sicilia, trattenere i proventi maturati nell’Isola e costruire le infrastrutture per lo sviluppo con i pochi o tanti soldi che riusciremo a risparmiare o ad ottenere.
Quelle vere, non il ponte.
Ma mi pare, a parte qualche salutare seppur tardivo taglio agli sprechi, che si stia andando in tutt’altra direzione.
Massimo Costa
Fonte: SiciliaInformazioni