Elogio dell’ascaro
Chissà che un domani nei paesi siciliani, accanto al monumento al Milite Ignoto, non ne sorga un altro che possa ricordare episodi anche più tristi di quelli patiti dai Siciliani durante le due guerre mondiali. In quei paesi un domani potremmo trovarci un bel monumento all’Ascaro Ignavo, una statua a ricordo di tutti quei politicanti di bassa lega che i nostri municipi hanno sfornato in quantità industriali e che hanno contribuito a ridurre la nostra patria nello stato in cui si trova attualmente.
Ma un tale monumento dovrebbe anche celebrare qualcosa, altrimenti non avrebbe motivo di esistere. Come il tradimento di Giuda fu accessorio alla salvezza dell’umanità, così il tradimento degli ascari è stato accessorio alla realizzazione di un bene più grande, è cioè la preservazione dell’Autonomia Siciliana, il grimaldello che presto ci potrebbe donare la libertà.
Lo stato italiano infatti per potersi assicurare i luridi servigi di quei viscidi prodotti da forno doveva pur concedergli dei privilegi. L’accordo fu presto fatto: gli ascari scambiarono (e scambiano) i diritti che i Siciliani si guadagnarono sul campo con l’approvazione dello Statuto, con la possibilità di mantenere i privilegi di casta da quello stesso Statuto concessi ed di esercitarli in modo assoluto ed arbitrario. Privilegi che, senza la responsabilità data dal peso dell’applicazione integrale della Carta Costituzionale Siciliana, appaiono abnormi anche rispetto a quelli già smisurati dei parlamentari nazionali.
Ma sbaglieremmo a prendere gli ascari per sprovveduti. Essi hanno sempre capito che quei privilegi venivano concessi loro solo in virtù del sangue versato da Canepa e co., e che la menomazione anche marginale di quella conquista, cioè dello Statuto, avrebbe significato la fine di tutta la cosca, in quanto la cupola parlamentare nazionale non avrebbe più avuto bisogno di loro.
Si è così arrivati all’assurdo per cui proprio gli ascari hanno impedito che si toccasse quella carta, promettendo sempre all’invasore l’agognata menomazione, ma sempre trovando una scusa per rimandare il tradimento finale (e quindi la loro stessa estinzione) a data da destinarsi, novelli Penelope che disfanno la notte quello che dicono di giorno.
Tanto è stata assoluta la fedeltà di cosca tra i politici siciliani, che nessuno ha mai tradito malgrado il gioco al rialzo fatto da Roma. Ed oggi siamo nel momento più delicato: quello in cui qualcuno, avendo oramai capito di essere di fronte ad una sconfitta certa, potrebbe rompere i ranghi e tentare un colpo di mano.
Agli ascari il potere esclusivo di distruggere definitivamente la Sicilia lo ha assegnato una sentenza dell’Alta Corte (prima di essere abolita) .
L’articolo 1 dello Statuto recitava originariamente così:
Lo Statuto della Regione Siciliana, approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell’art.116 della Costituzione.
Ferma restando la procedura di revisione preveduta dalla Costituzione, le modifiche, ritenute necessarie dallo Stato o dalla Regione saranno, non oltre due anni dalla entrata in vigore della presente legge, approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, udita l’Assemblea Regionale della Sicilia.
Il secondo comma è stato caducato dall’Alta Corte. Rileggiamo a tal proposito il commento di Massimo Costa:
Esso era il cavallo di troia con cui pensavano di castrare lo Statuto a Roma con una banalissima legge ordinaria. L’Alta Corte ne ha dichiarato l’incostituzionalità in quanto lo Statuto avrebbe natura pattizia e sarebbe quindi immodificabile senza il consenso di entrambe le assemblee legislative.
Tale sentenza rende caduco anche il primo dispositivo del comma “ferma restando la procedura…” intendendo implicitamente che la procedura di revisione della Costituzione che non avesse il consenso della nostra Assemblea sarebbe nulla anche se rispettasse la normale procedura prevista dal testo costituzionale.
Ma la sentenza in parola è importante anche per un altro aspetto: l’incostituzionalità del secondo comma avvalora la costituzionalità del primo. E quindi lo Statuto E’ COSTITUZIONE COSI’ COM’E’, senza bisogno di alcuna modifica o integrazione.
In questi cinquantanni di trasversalismo generalizzato, se il colpo di mano non si è fatto vuol dire che non lo si voleva fare. Tanto è vero che quando si è trattato di apportare una modifica migliorativa, e cioè quella che nel 2001 ha introdotto l’elezione diretta del Presidente della Sicilia, non vi sono stati problemi di sorta.
Ed oggi lo Statuto Siciliano è intatto. Non applicato ma valido come Carta Costituzionale e soprattutto, in forza della sia natura pattizia, come trattato internazionale tra la nazione italiana e la Nazione Siciliana. La nostra arma più potente.
Non è però ancora il momento di cantare vittoria. Anzi è oggi che la nostra Patria corre i pericoli maggiori. Perché, come dicevamo, chi è schierato dalla parte sbagliata e si trova oramai con le spalle al muro potrebbe non avere altra scelta se non compiere l’atto che nemmeno il più irresponsabile degli ascari si sarebbe sognato mai di compiere.
E presto saranno in molti ad avere le spalle al muro. Non ci spaventano certo i bamboccetti alla Licandro, e nemmeno ci devono preoccupare più di tanto atti moralmente aberranti quali la scarcerazione di Contrada (in 150 anni abbiamo visto di peggio…) che dovrebbe servire da apripista per la liberazione delle alte gerarchie mafiose, ma che non porterà a niente.
Il pericolo maggiore viene da Arcore e si chiama “Macroregione”. Il pecoraio sa benissimo che la situazione geopolitica che si è venuta a formare con l’avanzata nel Mediterraneo di Russia e Cina, e la crescita di molti paesi medio-orientali coinvolgerà la Sicilia ed il Sud Italia. Ma crede ancora di poterla volgere a suo vantaggio.
Da buon cerchiobottista, da un lato prepara una sponda all’avanzata orientale, dall’altro briga per la creazione di uno stato fantoccio che rimanga schiavo agli interessi suoi e dei “fratelli”.
Mentre la Russia fa l’occhiolino all’Autonomia Siciliana, contraltare legale del pasticciaccio fatto in Kosovo dalla UE, lui propone per l’isola l’esercito e l’inglobamento in una specie di Campania allargata senza alcuna autonomia reale. Progetto questo che non potrà andare in porto senza quel tradimento massimo che agli ascari siciliani è sempre stato chiesto di compiere anche se che finora mai sono stati tanto fessi da eseguire.
Raffaele Lombardo non suona certo rassicurante quando parla di “macroarea meridionale”, ma sappiamo che il nostro si trova tra l’incudine ed il martello e prevedere dove andrà a sbattere per ora è difficile.
Quello che succederà nei tormentati animi degli ascari siciliani nei prossimi mesi dipenderà direttamente dagli sviluppi politici in medio-oriente (leggi Iran, leggi OPEC del gas).
Sognare non costa niente. E se invece di allargare la Campania sino a Lampedusa (come progettato ad Arcore), si riuscisse ad estendere l’Autonomia Siciliana a tutto il Regno di Sicilia continentale (magari tramite un bel “plebiscito”) dando così lo status di nazione anche al Sud Italia? Non sarebbe male come fine dell’impero “occidentale” ed inizio di una nuova era “orientale”.
Fonte: ilconsiglio.blogspot.com