La Lira Siciliana
Che la Sicilia, con lo Statuto Speciale, divenisse un vero e proprio stato autonomo lo dichiarò persino Luigi Einaudi, il famoso economista, già governatore della Banca d’Italia e poi presidente della Repubblica, in occasione, nel 1948, della discussione all’Assemblea Costituente sul coordinamento dello Statuto siciliano con la Costituzione italiana.
In particolare, Einaudi, intuendo le eccezionali possibilità insite nell’art. 40 della carta costituzionale siciliana, paventava in quell’occasione ai costituenti, come ha ricordato anche Francesco Renda in “L’emigrazione in Sicilia” il pericolo che la Sicilia potesse battere “una lira siciliana diversa da quella italiana”.
All’allarme dell’economista piemontese rispondeva sicuro Andrea Finocchiaro Aprile, con l’affermazione che “noi Siciliani ci compiacciamo, perché ci darà, in un giorno che ci auguriamo non lontano, la possibilità di creare utilmente una nostra valuta”.
Quale, dunque, migliore attestazione avrebbe potuto ricevere la Sicilia, da quelle altissime personalità, riguardo alla sua sovranità politica che doveva essere prima di tutto sovranità monetaria?
Ma esaminiamo nei particolari la questione.
L’art. 40 dello Statuto siciliano recita testualmente:
– Le disposizioni generali sul controllo valutario emanate dallo Stato hanno vigore anche nella Regione. E’ però istituita presso il Banco di Sicilia, finché permane il regime vincolistico sulle valute, una Camera di compensazione allo scopo di destinare ai bisogni della Regione le valute estere provenienti dalle esportazioni siciliane, dalle rimesse degli emigranti, dal turismo e dal ricavo dei noli di navi iscritte nei compartimenti siciliani.
Il primo comma, in pratica, disponeva per la Sicilia l’uso di una moneta uguale a quella italiana (allora la lira).
Il secondo comma prevedeva, invece, l’istituzione, presso il Banco di Sicilia, di una Camera di compensazione, una specie di ufficio cambi, che doveva occuparsi di destinare ai bisogni della Regione Siciliana le valute estere provenienti dalle esportazioni siciliane, generatrici sempre di notevoli surplus commerciali, dalle rimesse degli emigranti che a fiumi hanno inondato le banche italiane in Sicilia e attraverso di esse il sistema industriale padano, dal turismo che ha lasciato e lascia nella nostra Isola enormi quantità di denaro e dal ricavo dei noli di navi iscritte nei compartimenti siciliani che per la mole di traffico marittimo dei nostri porti ha sempre raggiunto somme considerevoli.
E poiché per le valute straniere possedute dai siciliani doveva essere corrisposto un importo di pari valore in moneta locale, la norma in questione dava implicitamente al Banco di Sicilia la potestà di emettere le lire necessarie a pagarne il relativo cambio.
Lire che pur avendo la stessa denominazione di quelle italiane, avrebbero potuto avere nel tempo anche un valore notevolmente differente, perché emesse sulla base di una riserva valutaria che poteva essere anche di tipo “pregiato”.
Lire che, ad avviso dello scrivente, nel momento in cui avessero raggiunto un valore particolarmente importante, avrebbero potuto persino essere utilizzate come moneta di scambio.
Le lire siciliane che tanto avevano terrorizzato l’economista Einaudi, avrebbero, dunque, dato ai governi siciliani i mezzi per sviluppare l’economia dell’Isola e sconfiggere così la sua centenaria disoccupazione, ma soprattutto i mezzi per non dipendere economicamente e politicamente dal governo italiano.
Si parla tanto, oggi, di sovranità popolare della moneta: ebbene l’art. 40 dello Statuto Siciliano ha rappresentato e rappresenta uno di quei rari e fulgidi casi in cui il diritto ha previsto esplicitamente la proprietà pubblica della moneta. Col destinare ai bisogni della Regione Siciliana l’uso delle valute estere dei siciliani e di conseguenza la moneta emessa nell’Isola sulla scorta di tali divise, il legislatore ha inteso affrancare il Popolo Siciliano dall’usura del signoraggio delle banche centrali cosiddette “nazionali”.
Naturalmente tutto ciò non poteva essere in alcun modo tollerato dai quei poteri forti italiani che dall’unità in poi sono stati sempre dietro le quinte a depredare indisturbati i popoli del sud e soprattutto quello siciliano.
Come molte norme dello Statuto di Autonomia, grazie anche al tradimento dei molti ascari siciliani che investiti di responsabilità politiche hanno solo pensato al proprio miserabile tornaconto, quella dell’art. 40 ha subito la stessa sorte delle “grida” di manzoniana memoria e cioè una ineluttabile lettera morta!
E il Popolo Siciliano, all’oscuro di tutto, non immagina nemmeno le immense perdite economiche che ha dovuto subire a causa dell’inadempienza di tale norma. (ms)
Fonte: www.meridiosiculo.altervista.org/
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