L’ISOLA ed il suo motore storico
In un’epoca in cui ogni quartiere d’Europa sembra avere un suo movimento indipendentista, anche istanze vecchie di secoli scadono in una quotidianità fatta di vuote rivendicazioni teleguidate e vengono accomunate al generale clima di disfattismo imposto dall’elite burocratico-finanziaria europeista che cerca di minare le basi sociali degli stati nazionali nati nel XIX secolo per poter gestire indisturbata il potere senza essere chiamata a risponderne.
In questa bagarre di autonomismi più o meno spinti si potrebbe tentare il solito giochetto di collegare gli eventi siciliani più recenti a quelli del continente europeo, come si fece (e si fa…) con i vari episodi avvenuti tra la fine del settecento e la metà dell’ottocento.
Si potrebbe per esempio sostenere che il movimento (ed i moti) indipendentisti del secondo dopoguerra che portarono alla rinascita della Nazione Siciliana altro non furono che le avvisaglie di quello che sta accadendo oggi in Spagna, nella ex-Jugoslavia, in Belgio.
Una tale inquadratura non riesce però a cogliere appieno il significato delle rivendicazioni isolane, e la principale prova di ciò risiede nella costatazione che i moti della metà del ‘900 siano in chiara continuità con quelli pre e post risorgimentali tramite una serie di eventi anche importanti (il più significativo di tutti sicuramente la rivolta del sette e mezzo) che risultano offuscati ad arte dalla storiografia ufficiale nel tentativo di ricondurre il tutto nel narcotico alveo storico-materialista dell’iper-inflazionata rivoluzione francese.
Per capire l’indipendentismo siciliano bisogna inquadrarlo dal punto di vista culturale e geografico.
L’inquadramento politico con il quale di solito vengono etichettati questi movimenti, ed in particolare quel “rivoluzione” buono per tutte le stagioni, non riesce a delineare i termini esatti della questione proprio perchè non si tratta di un problema esclusivamente politico o sociale.
Il susseguirsi di rivendicazioni di tipo indipendentista o autonomistico nell’isola risale per lo meno al periodo delle colonizzazioni greche, durante il quale si sovrapposero rivendicazioni “autonomiste” o “indipendentiste” su almeno due livelli, caso più unico che raro in un ambito territoriale non particolarmente esteso come quello in esame: da un lato lo scontro tra l’elemento autoctono (siculo) e quello alloctono (greco), scontro personificato dalla figura di Ducezio. Dall’altro il tentativo delle colonie greco-siceliote di recidere gli oppressivi legami con la madrepatria (“Ne ioni ne dori, ma siciliani”). Incredibilmente ambedue le istanze poggiavano la loro ragion d’essere sulla stessa base: la definizione in primo luogo geografica e solo in seconda battuta etnica di Sicilia.
Lo stravolgimento delle condizioni sociali e politiche dei secoli successivi non porterà variazioni sul tema. Si va dalle rivolte degli schiavi nel periodo romano (dove “schiavi” altro non era se non il termine propagandistico usato dal regime imperiale romano per nascondere la ribellione siciliana) ai conflitti interni al mondo arabo che porteranno alla nascita di un califfato guidato da una famiglia isolana ed in seguito alla costituzione del Regno di Sicilia.
E potremmo continuare anche per i secoli seguenti sino a raggiungere l’apice della Guerra del Vespro.
Questa ripetitività scollegata dal retroterra sia etnico che sociale delle diverse componenti che nel tempo hanno continuamente riproposto la stessa identica rivendicazione, indica una relazione diretta non tanto con l’ “idea” di Sicilia quale concetto astratto di patria nel senso moderno del termine o quale tópos di una determinata coagulazione culturale, ma con la Sicilia quale luogo fisico reale e definito.
Proprio in base a queste considerazioni sembra delinearsi un indipendentismo che non nasce da un effettivo bisogno di cristallizzazione culturale di un momentaneo vissuto culturale, ma che al contrario è emanato dal luogo stesso ed assorbito quasi passivamente dalla società umana: è la Sicilia quale isola che pone dei confini insormontabili ai suoi abitanti rendendo nette le distanze con chi invece risiede “altrove”.
E questo non dovrebbe sorprenderci: tutte le isole rendono i loro abitanti fortemente coscienti della loro identità ed assolutamente gelosi di essa.
L’indipendentismo dei siciliani è lo stesso di quello dei sardi, dei corsi, degli irlandesi, tanto per rimanere in ambito europeo.
L’uso del verbo “risiedere” più sopra non è casuale.
L’indipendentismo siculo infatti non può avere alcuna definizione a base etnica o sociale, in quanto il travagliato vissuto dell’isola, continuo crocevia di migrazioni e stanziamenti, fa sì che “siciliano” sia chiunque si trovi a risiedere nell’isola in un determinato momento storico. In breve: siciliani non si nasce, si diventa.
Non che rivendicazioni etniche o sociali non siano mai state presenti. Ma queste si configurano come scintille, come casus belli. Non come pietra angolare del processo storico.
Il susseguirsi serrato per migliaia di anni di migrazioni e stanziamenti percepibile persino a livello di esperienza personale porta inoltre ad una esasperazione identitaria continuata, ad una cronica tensione emotiva dell’Io. Una esasperazione ed una tensione tramandate da generazione in generazione e che spiegano come mai l’autonomismo e l’indipendentismo siciliani siano più ostinati (e forse anche più disperati e parossistici nelle loro manifestazioni) di quelli delle altre isole citate.
L’autonomismo e l’indipendentismo sono quindi il motore storico della Sicilia. Un processo senza soluzione di continuità attraverso il quale deve essere sempre interpretato ogni avvenimento della nostra storia, pena l’impossibilità di decifrarne in modo razionale e coerente le dinamiche più intime.
Dinamiche che sembrano andare in letargo in seguito a situazioni contingenti, ma che rinascono ogni qual volta eventi originatisi al di fuori dall’isola vengano percepiti come minaccia a questa esasperata identità di cui, è bene precisare, andiamo fieri.
Fonte: www.ilconsiglio.blogspot.com