Indipendenza della Groenlandia…a poco a poco
Per chi dice che la Sicilia “è povera”, “non ce la può fare da sola”, ed espressioni simili.
Esiste un altro paese, molto più “mantenuto” di noi, molto meno autosufficiente economicamente, che sta dimostrando il coraggio di camminare sulle proprie gambe, magari con la dovuta gradualità; vedrete che col tempo l’indipendenza porterà benessere anche a quelle latitudini, il tempo di convertirsi dall’assistenzialismo allo sviluppo. Non sarà facile, ma ce la faranno,…e naturalmente ci supereranno….
Dormiamo, fratelli siciliani, dormiamo,… meglio restare italiani mantenuti e denigrati ogni giorno, meglio essere offesi ogni giorno da italiani del nord che ci considerano degli scansafatiche, magari dimenticando quante nostre risorse prendono ogni giorno gratuitamente il volo per il continente, che essere siciliani e basta, che essere un popolo normale come siamo stati per millenni e come non siamo più.
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Da La Repubblica di oggi:
ESTERI
Ieri la firma del trattato bilaterale, entro la fine dell’anno referendum e voto
La capitale del nuovo Stato sarà Nuuk, 15mila abitanti e due ristoranti.
La lunga marcia della Groenlandia per la secessione dalla Danimarca.
dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI
BERLINO – Sta per nascere una nuova nazione, e di fatto sarà il primo Stato eschimese. E una lingua eschimese diventerà ufficiale, lassù tra i ghiacci eterni del grande nord. La Groenlandia, la più grande isola del mondo, ha cominciato ieri a scogliere gli ultimi legami con la madrepatria Danimarca, l’ex potenza coloniale. Lentamente, ma nascerà uno Stato vasto come sei Germanie e abitato da appena 57mila persone. Sarà nazione sovrana grazie alle ingenti risorse di petrolio, metalli preziosi e altre materie prime, ma dovrà appoggiarsi a Copenaghen e al resto della Vecchia Europa per formare la sua classe dirigente.
E per la prima volta dal dopo-colonialismo uno Stato europeo perderà il 98 per cento del suo territorio.
La svolta è cominciata ieri, con la firma di un trattato tra il premier conservatore danese, Anders Fogh Rasmussen, e il governatore-premier di Groenlandia, il socialdemocratico Hans Enoksen. Entro fine anno un referendum in Groenlandia e un voto del Parlamento reale danese daranno il responso già ora scontato: si andrà step by step verso l’indipendenza e il diritto alla secessione.
I sogni volano alto, anche quando è difficile. Anche quando la capitale del futuro Stato eschimese indipendente, Nuuk, ha sì e no 15mila abitanti, come un grosso villaggio europeo, e appena due ristoranti di lusso, entrambi dipendenti ogni giorno dalle forniture di cibo fresco che arrivano da Copenaghen. Da qualche anno anche il grande mondo globale si è accorto che la Groenlandia esiste. Per caso, grazie a un film, Il senso di Smilla per la neve, storia di una giovane in cerca di identità. Sulle orme di Smilla, i groenlandesi sono decisi a non mollare, vogliono procedere sulla via indicata dal Trattato: addio a Copenaghen, addio dolce ma senza ritorno.
Siamo appena agli inizi. La Danimarca versa ancora a Nuuk 3 miliardi di corone l’anno, cioè oltre 400 milioni di euro, che fanno 7000 euro per ogni abitante dell’immensa isola dei ghiacci eterni. E così la tiene in vita. Gli Airbus cargo della parte danese della Sas, la compagnia aerea scandinava, atterrano ogni giorno in Groenlandia: portano tutto, dalla frutta, alla birra, alle medicine. Gli F16 della Royal Danish Air Force pattugliano ancora i cieli del futuro Stato eschimese, spesso in incontri ravvicinati con i bombardieri atomici Tupolev che Putin ha rimesso in volo di pattuglia armata permanente. Ma da ieri, il divorzio lento è avviato, irreversibile. Ai danesi resterà solo, temporaneamente, la politica estera, come fece Dublino quando si sganciò da Londra.
Petrolio in abbondanza, e altre materie prime, saranno la base della sovranità, promette Enoksen. “Dobbiamo difendere il diritto di proprietà dei groenlandesi sulle loro risorse”, dice il leader socialdemocratico. Ma non è solo questione di soldi, anche di cultura nazionale riscoperta. Spesso troppo diversa da quella europea rappresentata dai danesi. “La caccia, alle foche, ai trichechi, alle balene per noi è parte del quotidiano, mangiare carne di balena o prosciutto di foca è tradizione”, spiega all’inviato della Sueddeutsche Zeitung Job Hellmann, cacciatore di professione, nome danese ma lingua eschimese. “Abbiamo inventato noi l’igloo, il kayak, l’eskimo, e ci sentiamo trattati dall’Unione europea e da Copenaghen come barbari. E cosa sono allora gli europei che vengono nelle nostre acque con le loro flotte di pescherecci atlantici e ci tolgono il pane?”, chiede polemicamente Kupik Kleist, parlamentare, presidente del Partito per
l’indipendenza, affine alla sinistra radicale.
“Tutto quello che arriva in aereo da Copenaghen qui costa molto più che in Danimarca”, mugugna Jeppe-Eiving Nielsen, capocuoco del miglior ristorante di Nuuk, “mentre il pesce di qui è così fresco che i filetti ancora tremano quando li tagli”.
La via verso l’indipendenza sarà dura: troppi poveri, troppo pochi i giovani qualificati per una futura classe dirigente. Ma già fanno capolino nuovi gruppi emergenti. Come Bjarke de Renouard, manager: è danese, ha sposato una groenlandese, della lingua locale non capisce una parola “ma – dice – i miei figli la parlano correntemente, sarà la loro identità domani”.