Se vince la passione
Colline abbandonate dagli alberi, disordine di tutto, faraoniche costruzioni di improbabili
metropolitane, divelto il basamento di pietra lavica, sdradicati alberi centenari per allinearsi,
fingendo, agli standard delle grandi metropoli del mondo, cancellati pero’ i luoghi della
memoria, ti chiedo esiste ancora la mia Isola?
E se continua il tuo entusiasmo per la mia terra, perchè non riesco ad abbracciare la tua fatica e ti lascio
solo a combattere contro le tempeste o contro i mulini a vento?
Peloritani alle spalle e stretto braccio di mare davanti ai miei passi, fuggo lontano nella ricerca della mia
terra confuso tra i rumori dei Nord lontani, ormai regola generale di un vivere per episodi, con fissa
sempre l’illusione del ritorno.
Ritorno come metafora di esistenza, nelle notti senza sogni, paradigma di vita, illusione ed
immaginazione.
Alte le montagne sullo stretto riflettono ormai sul Peloro, una volta il mare degli Dei, lo spettacolo del
Golgota nella crocifissione di Antonello. Non più luminosi colori di tramonti chiazzati di rose e gerani
messinesi, ma trasformano i legni delle barche nella pietra del lido, dura, immobile, scarna materia
diventata sintomo e dimostrazione della declinazione del paradigma di una fine, quella della mia Terra.
Esiste la Sicilia? Esistono ancora le isole del vento, i mulini di Regalpietra, le miniere di Pietraperzia, le
insenature di Licata, il Tindari della memoria, i poeti, i figli di Vulcano?
Dimmi, esiste ancora quella fonte a cui attingevamo entusiasmi e voglia di andare?
E non certo il tempo che fugge ci riporta nei sentieri di contrade perdute, ma forse la nostra mente e le
sue costruzioni della fantasia che mai si ferma , neanche davanti alle pieghe dell’età.
Ma tu ritorni a vibrare per questa terra che amiamo dire impareggiabile perchè non abbiamo certo trovato
niente di simile nei voli della nostra immaginazione, e nei continenti che il destino ci ha fatto visitare.
Tu cerchi giustizia e considerazione per queste piazze abbandonate, per il disordine delle strade, per la
maleducazione degli automobilisti, e ti affanni dietro l’ideale di una terra ritornata impareggiabile, ritornata
alle rime dei poeti, al vento dei pini, ai sapori della salsedine, nelle ombre di chi già non c’e’è più”.
E ritorni a prendere la penna, a cercare la fotografia giusta per mandare il tuo messaggio, coinvolgere nel
risveglio il lungo sonno dei figli della diaspora.
E continui la vecchia rappresentazione dell’opera e dei pupi, tu lotti,consunto Paladino col feroce
saladino, in un antico teatro ormai perduto e consumato dal grande fratello e dalle infernali macchinette dei giochi elettronici.
Noi ci culliamo negli ozii del disincanto, tu riesci invece a sospendere il tuo quotidiano per cercare di
ricatturare i siciliani alla politica, al risveglio civile.
Noi nel rifiuto di un’Isola la che si perde, tu come Melibeo, nell’entusiasmo di una finta libertà.
Eugenio Preta