Ponte o case antisisma? I DUBBI DI UN GEOLOGO SU UNA GRANDE OPERA TRA DUE CITTA´

STRETTO DI MESSINA
DIBATTITO SU SICUREZZA E IMPATTO AMBIENTALE
Ponte o case antisisma?
I DUBBI DI UN GEOLOGO SU UNA GRANDE OPERA TRA DUE CITTA´ CHE HANNO PROBLEMI PIU´ URGENTI

Proprio in concomitanza con gli annunci di una sua prossima realizzazione, crescono i dubbi che il ponte sullo stretto di Messina, in ultima analisi, non serva: primo, perché il rapporto costi-benefici sembra largamente sfavorevole, secondo, perché potrebbe essere pericoloso in caso di sisma e, terzo, perché lo stornamento di fondi utili altrove diventerebbe grave colpa in caso di catastrofi naturali.

A ciò si aggiunge la preoccupazione per l’ambiente, che è il capitale più prezioso e deperibile del nostro Paese: nessuna valutazione di impatto ambientale è stata allegata al progetto (i progettisti ne hanno presentata una ma poi l´hanno ritirata una a causa della sua inadeguatezza).
Tralasciando l’aspetto economico (su cui molti hanno già scritto mettendo in luce che l’opera non sarà mai in grado di remunerare il capitale investito a causa delle ridotte dimensioni degli scambi: vedi, per esempio, Domenico Marino) e quello politico (quasi tutti vogliono il ponte), da un punto di vista geologico i dubbi sono parecchi. Alcuni geologi temono che il rischio di costruire una struttura del genere nella zona a più elevata sismicità del Mediterraneo non sia sufficientemente basso. Reggerà al terremoto prossimo venturo un ponte che è stato commisurato a magnitudo 7,1 Richter sulla base del famigerato sisma di Messina e Reggio del 1908, visto che – non essendoci al tempo rilevamenti strumentali adatti – si tratta di una stima indiretta e che, quindi, quello futuro potrebbe essere 7,2 o 7,5 ? .
Il terremoto umbro-marchigiano del 1997 ha insegnato che forse non si conoscono abbastanza i sismi: e se non si è stati in grado di prevedere una “coppia sismica” dove prima non c’era mai stata, che ne sappiamo se il prossimo terremoto nello stretto sarà 7,1 e non più grave? Va inoltre ricordato che il ponte risulta efficacemente difeso da un terremoto 7,1 Richter solo una volta interamente realizzato: nulla è assicurato per le fasi costruttive, durante le quali le strutture sarebbero assolutamente vulnerabili. Ma a cosa servirebbe un ponte che rimane in piedi se il terremoto è veramente “solo” 7,1 Richter? Invece di unire due future aree cimiteriali – quello che diventerebbero Reggio e Messina – non sarebbe meglio spendere prima quelli e altri denari (pubblici e privati, occupazione e profitti, sarebbero comparabili) nella ristrutturazione di città che hanno solo il 20 per cento di costruzioni antisismiche?
La Sicilia nord-orientale e la Calabria meridionale sono notoriamente le regioni a più alto rischio dell’intero Mediterraneo. A partire dal IX secolo, quest’area è stata colpita da almeno 13 terremoti d’intensità superiore al VII grado della scala Mercalli. Inoltre, sul quadro geologico dello stretto di Messina esistono tuttora discordanti interpretazioni: sulla genesi stessa dello stretto è in corso da anni un acceso dibattito scientifico, e persino la faglia del terremoto del 1908 resta da definire con certezza sul versante calabrese. Per quanto riguarda la vulnerabilità strutturale del ponte, rimane da verificare inoltre la risposta di un’opera tanto complessa e delicata a una serie di violente scosse ravvicinate, sul modello della crisi sismica calabrese del 1753, caratterizzata da cinque scosse principali comprese tra magnitudo 5,6 e 7 Richter e concentrate in un periodo di tre mesi. All’obiezione che in altre regioni sismiche (Stati Uniti e Giappone) i ponti si costruiscono, è fatale rispondere che, però, molte volte crollano in seguito a terremoti, come accaduto a Kobe, in Giappone, nel 1995: strutture molto più basse e con decine di piloni di sostegno di cemento armato piegati come burro. Magra sarebbe in quel caso la consolazione di scoprire che il ponte resisterebbe a un’esplosione nucleare a meno di 500 metri. Ma prima di scampare al prossimo terremoto, il ponte va costruito e per farlo bisogna prima di tutto impiantare, a oltre 50 metri di profondità, due piloni alti quasi 400 metri (più dell’Empire State Building) per un totale di oltre 500.000 metri cubi di cemento. Per fabbricare tutto quel cemento è necessario l’approvvigionamento di calcari, ciò che significa aprire decine di nuove cave nell’area dello stretto con sfregio ambientale irreversibile di colline e versanti, fino allo stravolgimento vero e proprio del rilievo esistente. Nello scavare le due fosse si tirerebbero fuori oltre 8 milioni di metri cubi di terra, sabbia, ghiaia e detriti rocciosi che andrebbero comunque trattati. Lo scavo altererebbe completamente ogni equilibrio idrogeologico delle aree di appoggio, ivi compreso il prosciugamento del lago Ganzirri (nel Messinese), aree già normalmente interessate da frane. In questi casi è lecito domandarsi se la messa in sicurezza (naturalistica) del territorio non dovrebbe venire prima della costruzione di qualsiasi opera. Lo stesso approvvigionamento idrico per la costruzione sarebbe un serio problema in un’isola dove, durante la stagione estiva, molti paesi non riescono a dissetarsi e dove si è appena combattuta una guerra per l’acqua potabile. Ci sono infine i dati geodinamici recentemente messi in luce dall’ENEA (ma da altri contestati), che indicano un allontanamento tra le sponde di un centimetro all´anno e un sollevamento verticale differenziale della costa calabrese rispetto a quella sicula: problemi che, come minimo, comporteranno un incremento di spesa. Insomma, forse non sarebbe male riflettere. Se i dubbi di natura tecnica e scientifica sono tanti, se non ci sono evidenti benefici di tempo e vantaggi di traffico e, anzi, si stornano risorse utili altrove, a cosa serve il ponte sullo stretto di Messina?

Mario Tozzi
Centro Studi sul Quaternario Roma, Cnr

(Autore di oltre 50 pubblicazioni scientifiche, Mario Tozzi è primo ricercatore al Cnr (Centro di studio per il Quaternario e l´evoluzione ambientale). Molti suoi lavori hanno come tema l´evoluzione geologica del Mediterraneo e le deformazioni delle rocce. E´ autore di alcuni libri di divulgazione e di numerose trasmissioni televisive; tra queste, “Gaia”, su RaiTre).