Anniversario dell’uccisione di Matteo Bottari, un assassinio dimenticato
Bruxelles, 23 gennaio 2008
Sono ormai 10 anni che Matteo Bottari, compagno di scuola dal Domenico Savio al La farina, ragazzo buono, mite e studiosissimo, veniva stroncato da lupara mafiosa.
Lo avevo incontrato a Bruxelles, qualche mese prima e ci eravamo ritrovati a ricordare antichi amici, nel buio di una piazza di un Paese del Nord dove io trascorrevo la mia esistenza di lavoro, Matteo il suo periodo di studi all’Ospedale Erasmus.
Sono ancora 10 anni che quell’omicidio è stato letteralmente sepolto, insabbiato nella memoria di una città senza memoria.
Non una lapide, né un mazzo di fiori, sul luogo dell’omicidio.
Non una commemorazione per gli anniversari che si sono succeduti, tranne quella della settimana scorsa, animata finalmente da giovani universitari.
Messina è città babba, soltanto nelle storie popolari pero’ perchè gli avvenimenti recenti hanno dimostrato che Messina è invece città scaltra.
Manca ancora una riflessione seria sul ruolo dell’Università, non tanto su quello criminale – ormai definto dalla stessa commissione antimafia del 98 che la defini’ il verminaio d’Italia – ma almeno sul significato socio-economico e culturale di questa istituzione perno dell’attività economica di una città commissariata persino nei suoi vertici.
L’università di Messina, una volta splendente nel suo rettore Savatore Pugliatti, oggi sforna futuri disoccupati presuntuosi ed ignoranti ed incamera precari e parassiti alla caccia di una scrivania ed una sedia dove trascorrere la vita sbadigliando.
Se questa è l’unica industria della città… Messina ripeto, non esiste.
Città malata come il suo tessuto economico fatto di fallimenti veri e falsi, di passaggi di proprietà “lubrificati” dal sistema delle estorsioni e dell’usura, di cambiamenti di destinazione di siti urbanistici, di disoccupati perenni e permanentemente rassegnati, di mercatini che hanno sostituito negozi una volta magnifici, di una piazza punto di ritrovo e di cultura oggi sostituita da un caffé sede di schiamazzi e maleducazione.
Città di sottoccupati e precari disillusi dalle promesse fatte a mezza bocca,senza il supporto di un qualunque documento scritto, un contratto, un accordo che stabilisca un rapporto di lavoro, una promessa, una situazione sempre evanescente e temporanea.
Siamo sempre più convinti che Messina sia la metafora della scomparsa dell’Isola.
Ventottodicembre che si protrae negli anni, terremoto di civiltà, confusione di educazione, perdita di cultura, Messina oggi non esiste.
Eugenio Preta
Presidente della “Confederazione dei giornalisti e dei media siciliani nel mondo”.