Il ‘29 è qui. E adesso?
In USA, la parola magica è «stimulus».
Lo decreta il ritardato globale in chief, lo ha deciso Bernanke, lo reclamano tutti i candidati presidenziali.
«Stimulus» è la ricetta imposta dall’ideologia liberista, che non ne ha altre: taglio dei tassi e delle tasse, mettere soldi in tasca ai consumatori perché spendano, rimettano in moto «la mano invisibile del mercato».
A conti fatti, ogni americano avrà in tasca 800 dollari.
Correrà a comprare l’ultimo iPod, un’altra cravatta di Armani, una nuova Toyota?
Illusione.
Ogni americano è indebitato fino ai capelli: il mutuo subprime per la casa che vale il 15% in meno, la rata dell’auto, il mutuo per gli studi, i debiti correnti sulle trenta carte di credito… quegli 800 dollari basteranno a pagare metà mutuo per un mese.
Fine.
Una goccia in una padella rovente, che sparisce sfrigolando.
Se poi comprasse qualche nuovo oggetto, sarebbe un oggetto importato: che aumenta il deficit commerciale USA, già senza precedenti.
E il pacchetto «stimulus» aumenta di 142 miliardi di dollari il debito pubblico USA, già stellare, accelerando per conseguenza l’inflazione.
E’ questo che si intende quando si parla di crisi del sistema egemonico americano.
Cina, Emirati, emergenti asiatici che hanno dollari a montagne li hanno prestati agli USA: attratti, come dice Bernanke, dalla «profondità e sofisticazione dei nostri mercati finanziari».
Ma quei soldi prestati non sono andati in investimenti produttivi, che valorizzassero le risorse umane e materiali americane, infrastrutture, macchinari.
Sono andati in consumi importati.
E come «investimenti», gli investitori (Cina, fondi sovrani) si sono visti offrire pacchetti finanziari composti di debiti inesigibili, a cui hanno creduto perché erano valutati AAA.
E dentro, non c’erano che i debiti dei consumatori più indebitati del mondo.
I mercati finanziari sono «sofisticati» nel senso penale del termine: sofisticazione alimentare, veleni spacciati per nutrimento.
E irresponsabilità.
Cieca, frenetica.
Le prime cinque istituzioni finanziarie di Wall Street, fra cui Citigroup e Merrill Lynch, due colossi globali alla bancarotta, hanno mendicato 100 miliardi di dollari in prestiti d’emergenza a fondi sovrani cinesi, sauditi, kuweitiani; eppure, nel 2007 hanno pagato 39 miliardi di dollari in «bonus» (gratifiche) ai loro gestori sofisticatissimi, quelli stessi che hanno inflitto agli azionisti perdite per 80 miliardi.
Citigroup ha dato 100 milioni al suo presidente per licenziarlo, mentre annuncia 20 mila licenziamenti di dipendenti subalterni.
E del capitale d’emergenza raccolto nelle ultime settimane, ne butterà la metà per pagare un dividendo il mese prossimo.
Un dividendo sul buco nero.
Ciò che da noi è la Casta politico-clientelare, là è la Casta finanziaria: arraffatrice irresponsabile che ha prodotto la rovina, e si paga le gratifiche miliardarie.
E’ il «mercato finanziario senza regole» che si avvita nella follia, come è avvenuto sempre, ricorrentemente, in USA.
Ora occorrerà che le teste folli implorino «l’intervento pubblico», il salvataggio a spese del contribuente già a terra per i debiti e il costo delle guerre in corso.
Ma dovrà emergere una classe politica che abbia la lucidità di nazionalizzare le banche demenziali, e metterle sotto la gabbia di severe regolamentazioni e limitazioni (nei bonus, anzitutto), che metta le redini al mercato che sta bruciando denaro pubblico.
Per questo cambio di paradigma, rooseveltiano o keynesiano, occorreranno mesi e forse anni di maturazione intellettuale e di coraggio politico contro gli ideologi monetaristi e Wall Street.
Nel frattempo, gli USA subiscono l’impatto diretto di quella che il sito Europe 2020 chiama «la très grande depression» (1): crisi socio-economica senza precedenti, con la famiglie duramente colpite fino all’insolvenza, crisi delle imprese afferrate nella tenaglia fra le insolvenze dei consumatori e la paralisi creditizia delle banche; e in più, nell’estate o prima, l’implosione del mercato dei «Credit Default Swap», sofisticatissimi prodotti della finanza creativa.
E l’Europa?
Secondo il sito francese (che finora non ha sbagliato previsioni) sarà la meno toccata delle grandi aree del mondo.
Niente di esaltante, anzi: stagflazione e recessione certe, crescita sotto l’1%, ma la vastità stessa della zona euro, il suo mercato di 450 milioni non troppo indebitati, e la preponderanza degli scambi intra-europei nelle bilance commerciali, dovrebbe garantire una certa stabilità nella tempesta monetaria e finanziaria che comincia.
Non a caso Danimarca e Svezia hanno accelerato la loro entrata nell’euro, comprendendo i rischi che corrono piccole economie che restano fuori dall’Arca di Noè.
La Gran Bretagna sarà un fuscello sbattuto dai marosi.
Ma ha cominciato a nazionalizzare la Northern Rock, contro il dogma, di malavoglia, giusto perché non poteva fare altro (nessun privato la voleva).
E’ questo il punto: in una crisi di questa entità, il potere politico «deve» riprendere il potere sul libero mercato impazzito ed autodistruttivo, lo «deve» senza volerlo, e senza saperlo più fare.
La forza degli eventi obbligherà a nazionalizzare, a ri-regolare i movimenti di capitali.
Bisognerà governare le divergenze tra le diverse economie della zona euro, che cresceranno, minacciando fratture del sistema monetario tra «Club Med» e «virtuosi» tedesco-olandesi.
Occorrerà una cooperazione più stretta ed efficace tra governi per dare risposte alle opinioni pubbliche, alla disoccupazione; la BCE continuerà a imporre le sue ricette, che sono il contrario di quelle di Bernanke (aumento dei tassi perché «c’è inflazione», nessun aumento di salari, conti in pareggio) mentre le parti dovrebbero essere scambiate – la follia ideologica comporta a questo, che le ricette giuste sono applicate nelle zone sbagliate.
Ma secondo Europe 2020, quando anche la Germania comincerà a sentire il morso dell’euro fortissimo rispetto al dollaro che stronca le sue esportazioni (oggi il cambio a 1,50 sarà a 1,70 a fine 2008), «l’insieme degli attori del gioco monetario ed economico europeo saranno pronti ad evolvere: nella forma di un aumento dal 2% al 3% del tetto accettabile d’inflazione per la BCE, con conseguente maggiore flessibilità di fatto nella fissazione dei tassi d’interesse».
Previsione debole, e ancora troppo ottimista, se si pensa ai politici che abbiamo, alla loro tempra intellettuale e morale di gelatina, alla loro autorevolezza dilapidata.
Non c’è nessun Roosevelt in vista.
E non c’è nessuna Europa-nazione, nessuna politica comune con autorità per governare il destino comune nella crisi.
Basti a dirlo questo fatto: il 29 gennaio, il cancelliere britannico Gordon Brown (il britannico fuori dall’euro!) ha convocato a Londra Angela Merkel e Sarkozy per vedere di delineare una linea d’azione concertata durante la crisi.
Prodi si è aggregato dietro sua insistenza, ma non era stato invitato, e probabilmente gli sarà dato uno strapuntino (2).
Barroso, il capo della Commissione Europea, ha fatto il diavolo a quattro per esserci, non poteva sopportare che tre governi politici scavalcassero il non-governo robotico e burocratico UE.
Di fatto, sta avvenendo questo: che i tre governi più forti per forza e capacità decisionale oggettiva (o meno deboli) stanno formando un direttorio, che prenderà decisioni politiche per tutti gli altri.
Il fatto che il convocatore sia il britannico, l’ideologo alla Adam Smith, garantirà che le decisioni saranno politicamente corrette, ossia eviteranno di mettere in questione la dittatura assoluta del capitalismo senza regole.
Si salveranno le banche, non si manderanno in galera i banchieri da preda, e si abbandoneranno i disoccupati alla «austerità», non si parlerà di ristrutturare il debito ai proprietari di case gravati da mutuo variabile, né di redistribuzione equa dei pesi, e anzitutto del maltolto dalle varie Caste a chi davvero ha bisogno.
Insomma, non si farà nulla di quello che suggerisce, con urgenza, Nino Galloni, uno dei pochi che capiscono a fondo la situazione e i rimedi rooseveltiani necessari; Galloni ha detto (3) che occorre «un adeguato sviluppo delle spese pubbliche» ma non per le autoblù e i mastellismi, bensì per «modernizzare la società: per infrastrutture, ricerca, istruzione, sanità e trasporti», che «richiedono interventi urgenti e costosi» (trascurati dalla «mano invisibile» per troppo anni) «capaci di accrescere la produzione e la valorizzazione delle risorse».
Le risorse reali, l’economia reale, le risorse umane.
«Invece si continua a parlare di pareggiare i bilanci come 200 anni fa, quando non erano disponibili le attuali tecnologie e l’economia doveva risparmiare per fare investimenti: senza investimenti non c’è futuro, non c’è sviluppo. Gli stessi fondamenti della civiltà sono erosi. Dobbiamo capire che la spesa pubblica non può essere finanziata solo attraverso la tassazione dei cittadini e delle imprese».
Parole al vento, che saranno accettate (forse) dopo dieci anni di «très grande depression».
Teniamole presenti, per misurarle con le «decisioni» che prenderanno il britannico, la tedesca, il marito di Carla Bruni, il Barroso ritardato e quell’italiano sullo strapuntino.
Maurizio Blondet
www.effedieffe.com
Note
1) «2008 : Phase de plein impact global de la Très Grande Dépression US», Europe 2020, 15 gennaio 2008. Ecco il sommario: Planète Finances 2008 – Fin de la coordination effective des grandes banques centrales mondiales. – Etats-Unis 2008 – Impuissance du pouvoir politique et effondrement du pouvoir financier face à la Très Grande Dépression – La Fed désormais impuissante va osciller entre soutien à l’économie, lutte contre l’inflation et soutien au Dollar 2008-2018 – Dix ans minimum pour sortir de la Très Grande Dépression (Que cela convienne ou non aux agendas des dirigeants à Washington et New-York ne fait aucune différence : La Très Grande Dépression en cours est de dimension historique et va exiger des mesures exceptionnelles d’une ampleur sans comparaison avec aucune politique américaine depuis les années 1930)… 2008 – Après la crise des emprunts immobiliers, voici venir la crise des dettes d’entreprise (La récession en cours va désormais affecter directement et brutalement les profits des entreprises, prises en tenaille entre un consommateur insolvable et des banques en état de choc).
2) «Plutot 1933 que 1929», Dedefensa, 18 gennaio 2008. «Gordon Brown a invité, le 29 janvier à Londres, ses principaux collègues européens (l’Allemande Merkel, le Français Sarkozy, auxquels l’Italien Prodi a réussi à se coller à sa propre insistance). Après une tragi-comédie dans les coulisses, car il n’était pas prévu au départ, il s’avère que le président de la Commission européenne Barroso sera présent. (La Commission était catastrophée d’être ainsi tenue de côté, lors des tractations initiales pour la réunion. Il a fallu une rude bataille pour faire accepter Barroso.) Cette réunion porte sur l’attitude concertée des gouvernements face à la crise. C’est une réunion politique et cela donne un bon éclairage de la situation du pouvoir politique réel en Europe. Le Conseil des 27 sera informé quinze jours plus tard, à la mi-février, des résultats de la réunion du 29 janvier. Face à l’urgence et à l’essentiel, la direction politique est bien, d’abord, dans le chef des trois principaux pays (Allemagne, France, Royaume-Uni). La crise devient objectivement politique. S’il y a décision d’ ‘intervention massive’ des pouvoirs publics, la crise s’affichera, de par la décision de ces pouvoirs, comme fondamentalement politique. Ce que feront les dirigeants politiques de cette ‘prise de pouvoir’, c’est une autre histoire».
3) «Italy’s Galloni Demands Public Spending, or Civilization’s Demise», LaRouchePac, 18 gennaio 2008.