Commento dello Statuto Siciliano
ART.15
Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell’ ambito della Regione siciliana.
L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria. Nel quadro di tali principi generali spetta
alla Regione la legislazione esclusiva e l’ esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali.
“L’articolo, uno dei più disattesi dello Statuto, era volto
all’abolizione delle Province, enti locali istituiti come longa manus del potere
centrale per distruggere l’autorità autonoma delle istituzioni
siciliane.
Le province furono istituite di fatto dal Regno delle Due Sicilie,
col nome di 7 “Valli”, nel 1819, accorpando i 23 distretti del Regno di
Sicilia. I sette “intendenti” preposti alle province avevano il compito
di svuotare progressivamente le competenze degli enti locali minori (i
comuni) e degli organi centrali dell’amministrazione siciliana (ciò che
restava dell’antico governo viceregio, ora chiamato “Luogotenenza”).
Questo processo non riuscì mai del tutto al governo duosiciliano, ma fu
portato avanti dai Savoia. Organo di controllo fu in particolare la
“prefettura”, di nomina governativa, affinché ci fosse da un lato un
controllo capillare del territorio senza che per contro ci fosse in Sicilia
alcuna autonomia decisionale.
Per questa ragione questa suddivisione amministrativa doveva essere
radicalmente abolita dall’ordine regionale, sostituita da suddivisioni
territoriali più adatte alle specificità del territorio.
Cessando le funzioni dello stato italiano in Sicilia ed essendo queste
tutte trasferite alla Regione, non c’era bisogno di un’articolazione
periferica dello stato in Sicilia. Certo sarebbe rimasto il problema
dell’articolazione dell’amministrazione statale-regionale periferica nel
territorio. Per questa la Regione avrebbe dovuto/potuto ridisegnare il
tutto secondo criteri nuovi, con una riprogettazione da zero dell’intera
macchina amministrativa pubblica: così per i suoi stessi organi
periferici, come per gli enti pubblici o semi-pubblici distribuiti nel
territorio.
Al posto dei Prefetti altri funzionari, preposti agli Interni e
all’ordine pubblico, di nomina governativa siciliana, ne avrebbero dovuto
prendere il posto. Distretti, contee, valli o cos’altro? Solo la democrazia
siciliana avrebbe espresso l’articolazione più rispondente alle
esigenze dei cittadini ed economicamente più sostenibile.
In particolare, poi, l’ente “provincia” in quanto tale andrebbe
soppresso, ente inutile per definizione e per eccellenza.
Al suo posto, per evitare un antieconomico frazionamento
dell’amministrazione pubblica in piccolissimi comuni, sarebbero dovuti sorgere i “liberi consorzi” che non sono né consorzi facoltativi né obbligatori, ma
una sorta di via di mezzo tra i due. Lo stato-regione avrebbe dovuto
stabilire i criteri generali di amministrazione pubblica secondo i quali
taluni servizi debbano svolgersi a livello consortile, le dimensioni
minime e le deroghe per i consorzi, le modalità di formazione della
volontà degli enti (territorio, popolazione, PIL,… dei Comuni
partecipanti), la modalità di formazione di nuovi consorzi, l’accorpamento e i suoi limiti, etc. Così pure, per legge, la definizione dei “Consorzi
metropolitani” per le maggiori aree e la possibilità di eleggere dei “Sindaci
metropolitani”, con una più ampia delega di funzioni a livello
consortile per la maggiore integrazione di servizi che comportano le aree
metropolitane.
A costo zero, con la riallocazione delle risorse umane esistenti, si
sarebbero potuti avere tre aree metropolitane e una ventina di distretti
minori o rurali, amministrazioni particolari per le piccole isole, e
così via,…
Complemento di questo ordinamento sarebbe stata la “più ampia autonomia
amministrativa e finanziaria” (chi ha detto che questo Statuto è
“palermocentrico”?) per cui, di fatto, la Regione si sarebbe dovuta
spogliare della gestione dei servizi al cittadino e della connessa
amministrazione finanziaria per concederla ai livelli più vicini ai cittadini. Con
oculatezza si sarebbero potute costituire enti inferiori ai comuni
(frazioni e quartieri) ma con una delega vera di poteri e risorse e non
come inutili stipendifici quali sono le attuali circoscrizioni.
E altro complemento è quello necessario della “legislazione esclusiva”.
Fatti salvi obblighi internazionali o comunitari, l’intromissione
della legislazione italiana è solo fonte di confusione e complicazioni. La
Sicilia deve avere un suo ordinamento degli enti locali completamente
separato e autonomo rispetto a quello italiano. Altrimenti il sistema
non funziona. E infatti non ha funzionato.
Ci si è limitati ad una imperfetta “legislazione concorrente”, mirata
solo ad espandere senza limiti il settore pubblico, con logiche
irresponsabili e suicide, per l’Autonomia e per la Società siciliana.
Quanto alla più imbarazzante delle previsioni, l’abolizione delle
province, si è provveduto con un paio di leggi gattopardesche, una degli
anni ’50 ed altra degli anni ’80, a riesumarle col nome di “province
regionali”, lasciandole assolutamente intatte in ogni aspetto. Peggior
tradimento dello spirito dello Statuto era difficile immaginare!”
ART.16
L’ordinamento amministrativo di cui all’ articolo precedente sarà
regolato, sulla base dei principi stabiliti dal presente Statuto, dalla
prima Assemblea regionale.
“Articolo ormai inattuabile in modo letterale ma che ci ricorda come,
nello spirito dello Statuto, la rivoluzione amministrativa, dovesse
essere cosa di “breve termine”. Comunque non sarebbe mai troppo tardi per
dar vita a questo nuovo ordinamento, di fatto mai lanciato davvero.”
Massimo Costa