I Laureati meridionali senza lavoro
Leggiamo e riportiamo senza annotazioni un articolo apparso oggi sul sito de La Repubblica.
Un solo commento: se 160 anni di unità hanno portato a questo, l’unità è fallita. Non sappiamo quale sia la via d’uscita, ma certo è che questo sistema non fa che alimentare stagnazione e sottosviluppo. Ci consola, da Siciliani, il solito terzultimo posto, davanti a Calabria e Campania e più o meno ex aequo con la Puglia? Diremmo proprio di no. Dove sono i meridionalisti dell’MPA & Co? Tu-tu-tu, occupato, in questo momento sono al servizio dei “settentrionalisti”… Buona lettura.
Allarme dai dati Svimez: a tre anni dalla laurea il 46% è disoccupato.
In dieci anni è quadruplicato il numero di chi si sposta in cerca di occupazione.
Laureati, i nuovi emigranti. Al Sud non trovano lavoro
di TULLIA FABIANI
A tre anni dalla laurea la disoccupazione. E se il lavoro c’è, è atipico e per pochi: privilegiati, benestanti e raccomandati. In questi casi si resta, negli altri si va. Da Sud a Nord: altra città, altra casa, altra vita. Si diventa emigranti, con una laurea in valigia e la speranza di farne buon uso.
Per i neolaureati meridionali mancano alternative; le partenze negli ultimi anni sono triplicate; mentre chi resta si affida a conoscenze e raccomandazioni per cercare lavoro.
Le cause?
Diverse e complesse, ma in primo piano ci sono la scarsa mobilità sociale, la mancata ripresa economica e il sistema scolastico.
È quanto sostiene una ricerca della Svimez, (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), che prende in esame la mobilità territoriale, la condizione professionale e occupazionale dei laureati meridionali a tre anni dalla laurea. Nel lavoro pubblicato sul quaderno “I laureati del Mezzogiorno: una risorsa sottoutilizzata o dispersa” e condotto su dati Istat dai professori Mariano D’Antonio e Margherita Scarlato dell’Università di Roma Tre, si legge infatti che la forbice sociale tra giovani dei ceti alti e bassi nel Mezzogiorno è frutto di un “sistema di istruzione che contribuisce soprattutto ad amplificare la distanza tra aree ricche ed aree
povere”. Mentre “dovrebbe compensare gli svantaggi di partenza portando allo stesso livello figli di famiglie di diverso reddito e grado di istruzione”.
Emigrazioni in crescita. Nel 2004, a tre anni dalla laurea, il 46,4 per cento dei laureati meridionali che hanno studiato al Sud e si sono laureati in corso è disoccupato. Disoccupato anche il 43,3 per cento dei laureati con il massimo dei voti a fronte del 30,8 per cento del Centro-Nord, dove oltre l’80 per cento dei laureati fuori corso da più di tre anni ha comunque trovato un’occupazione.
Si spiegano così gli altri dati che indicano un progressivo incremento delle emigrazioni: nel 1992 i giovani meridionali che emigravano al Nord dopo la laurea erano il 6 per cento; nel 2001 sono diventati il 22 per cento. In valori assoluti, da 1.732 a 9.899 laureati e tra questi più ingegneri ed economisti. Ma la crescita ha riguardato anche i giovani che hanno scelto il Centro-Nord per frequentare l’Università: in percentuale, erano un terzo (pari a 6.618 studenti) nel 1992, sono saliti al 60 per cento (10.539 unità) nove anni dopo. Rimane invece molto bassa la quota di studenti che dal Centro-Nord si sposta al Sud per studiare: nel 2001 sono stati soltanto 779.
“Nel Mezzogiorno il mercato del lavoro è opaco, molto più di quanto lo sia a livello nazionale – nota Margherita Scarlato, docente
di Economia dello sviluppo all’Università di Roma Tre – l’accesso non meritocratico al lavoro è più forte. E non è solo un problema di stagnazione economica. Laddove è carente la qualità dell’istruzione scolastica infatti è molto più determinante il ruolo della famiglia. Perciò l’origine sociale e territoriale continua a determinare fortemente l’accesso all’istruzione, il rendimento, e la collocazione nel mondo del lavoro”.
La forbice sociale. I dati analizzati mostrano la differenza delle opportunità: fra i laureati meridionali sono soprattutto i figli di dirigenti (22,7 per cento) e di liberi professionisti (23,6 per cento) a laurearsi in corso. Inoltre sono soprattutto i ‘figli dì a laurearsi nel Centro-Nord (20,9 per cento) o a trasferirsi dopo aver studiato al Sud (24,2 per cento),
favorendo così le migliori possibilità di crescita professionale. “Servono interventi rigorosi di inclusione sociale per evitare che i giovani restino ai margini – ribadisce la professoressa –
altrimenti non ci saranno davvero limiti alle emigrazioni. Chi emigra lo fa per necessità, per avere una possibilità di crescita e di lavoro, e nella maggior parte dei casi non è una scelta privata”.
Il discorso vale per la Campania, regione con la più forte migrazione di neolaureati: un valore nel 2001 pari al 21,3 per cento del totale dei laureati (erano il 15,2 nel 1998); vale per la Calabria (18,3) e per Puglia e Sicilia (pari entrambe a 17,4 per cento). Minore invece
la propensione al trasferimento per i molisani (12,9) e gli abruzzesi (13,2).
E per chi sceglie di restare? Lavoro atipico, spesso frutto della rete di conoscenze. Secondo l’indagine, se si è figli di dirigenti e imprenditori ci si affida ad amici, conoscenti e parenti per la ricerca dell’impiego (tra il 37 e il 41 per cento dei casi), più di quanto facciano altri lavoratori autonomi (22-25 per cento). Ma in questi casi la distanza tra Nord e Sud si accorcia: anche al Nord i figli di dirigenti e imprenditori si rivolgono a canali informali. E anche là i contratti li fanno a progetto.
(14 novembre 2007)