I mandanti della disperazione: il suicidio come crimine di Stato
La legge vigente punisce i responsabili della benefica eutanasia ma non i responsabili di suicidio per incuria statale.
Non più tardi di qualche giorno fa, 17 ottobre 2007, ho sentito parlare, a proposito di “welfare” (termine yankee per dire benessere ovvero “Stato sociale”), di aiuto statale a chi ha bisogno. Ma doveva trattarsi della barzelletta del giorno. In un paese in mano ad affaristi, a onorevoli per mestiere e a banchieri, di freddure – ma davvero fredde! – ne sentiamo una dopo l’altra. Per esempio, che lo Stato tuteli la salute dei cittadini (lo sto provando io sulla mia pelle) e che questi siano uguali davanti alla Legge!
Una barzelletta “massima” è che lo Stato combatta il crimine, quando, molto spesso, è esso stesso a produrlo. Come nel caso specifico, il suicidio. Per meglio intenderci, torno all’esordio: che lo Stato aiuti chi ha bisogno! Lo Stato liberista per definizione “asociale” – altro che Stato sociale! – attanagliato, ma solo per modo di dire, dalle tre categorie (a) sociali sopramenzionate che lo “usano” a proprio favore – semplicemente non può.
Non può perché non ha i soldi (!), perché, invece della moneta passiva – ovvero strumentale – esiste lo Stato passivo – per l’appunto succube delle tre caste. La mancanza di fondi è un pretesto “legale” di tutto rispetto che copre ogni iniquità del sistema. Non ci sono soldi e basta. “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”! (Dante). Se ci fossero tanti soldi quanti ne occorrano, l’inflazione, con i prezzi calmierati alla fonte e bloccati al dettaglio (tanto per cominciare), farebbe stare molto meglio i poveri ma impoverirebbe i ricchi. E ciò non sta bene. Non è nel programma della pseudoeconomia antropozoica (para-animale) ovvero del più accanito liberismo alla “homo homini lupus”.
Non può perché per ogni aiuto pubblico quale che sia ci vogliono leggi e disposizioni di legge, che giustifichino i prelievi da eventuali fondi residui.
In ogni caso non può – e questa è la motivazione ultima ideologica più circense che gesuitica e in un tempo vergognosa – perché provvidenza statale è assimilabile – guarda caso – a comunismo e questo è temuto dai vari predoni legali non tanto per le possibili degenerazioni criminali (come tutte le cose umane) quanto perché il socialismo non corrotto è tale quando previene sia i poveri cristi che i padreterni che dispongono di una villa per ogni occasione – che è molto più del “manzoniano che spende quattro paghe per un lesso” di carducciana memoria – e che incassano profitti parassitari a palate da tutti i lati (vedi i vari Berlusconi e Montezemolo che la fanno da soloni e moralisti impiccioni e petulanti!!!).
E’ proprio di oggi la notizia di tre “suicidi da sistema”: quello di un operaio, terrorizzato dall’impossibilità di pagare la rata del mutuo per una casa, immagino modesta, rata tra l’altro “impinguata” per calcoli usurai dal signoraggio bancario, a sèguito di una serie di indebitamenti e della perdita di lavoro da parte della moglie che ne aveva consentito l’accensione (insomma il contratto) e quelli di due ospiti di un “centro di permanenza temporanea” per ragioni che è meglio lasciare immaginare.
Quanti cittadini finiscono suicidi? La morte per suicidio “per disperazione economica” (ma bisognerebbe dire “predonomica” o da legale predazione umana) fa parte del sistema, è ricorrente. Fa parte dei molteplici valori negativi, che non vengono conteggiati, assieme al PIL e al debito pubblico e con l’estero, per il calcolo del progresso delle caste padronali e privilegiate ma sono tenuti in conto di lievi allergie cutanee.
Ricordo il caso di una persona molto anziana, che si è tolta la vita nel momento in cui gli “uomini della Legge” (uguale per tutti!) stavano per sfrattarla, privandola del suo solo bene immobile, di tutto il suo mondo in cui viveva da molto tempo e con cui si identificava. Ma “dura lex sed lex” e davanti a siffatta categorica ineluttabilità giuridica l’uomo vale un fuscello. Ci sono le morti silenziose simili a quelle di cani randagi di chi pian piano ha finito per perdere il lavoro, una famiglia, un tetto, perfino la forza di farla finita. Sono i barboni alla cui fine, quando non soccorsi da carità (magari pelosa), provvede la natura, madre e matrigna, come diceva Leopardi, o un qualche giovinastro patologicamente sadico che gli dà fuoco per diporto!
Il suicidio, di cui parlo, è un crimine di Stato, ma non ha responsabili.
Tale fenomeno (se vogliamo chiamarlo così) smentisce tutte le belle parole spese a favore di chi ha bisogno e dimostra che ciò che effettivamente manca è uno Stato degno di questo nome, uno Stato vero e proprio, uno Stato-padre capace di provvedere ai cittadini-figli.
Se questo Stato esistesse, l’operaio, chesi è impiccato, si sarebbe rivolto ad esso e questo avrebbe trovato una soluzione. Ma già è un’assurdità che un lavoratore di una “repubblica democratica fondata sul lavoro” debba fare delle acrobazie per avere un tetto, che gli spetterebbe di diritto per il solo fatto di esistere!
Questa, con il permesso dei vari Prodi e Padoa-Schioppa (che più schioppa non si può) è scienza sociale, è quella logica scientifica che portò alla proclamazione dei diritti umani, di quei diritti che ogni giorno vengono clamorosamente e allegramente calpestati nella pretesa “patria del diritto”.
Viviamo in una società-circo dove il nato non è un “creditore” della collettività, come lo era presso alcune tribù di primitivi, ovvero una creatura a cui si deve ogni cura perché cresca e maturi nel migliore dei modi, ma uno che non sa (risum teneatis, amici!) di avere contratto un debito “in mente dei” (sic!”). Mi riferisco al debito dello Stato.
Come si può pensare di provvedere, in tali circostanze, al fabbisogno dei cittadini, definiti (ma solo per celia) “sovrani”?! Tuttavia, perché vi sia uno Stato-padre (l’unico compatibile con il postliberismo selvaggio) è necessario che vi siano dei cittadini-figli, coscienti dei propri diritti alla pienezza della vita e capaci di farli valere non con sindacati-baracconi ma senza nemmeno ricorrere alla (pur salutare) ghigliottina del 1789. Questo è il dilemma!
Carmelo R. Viola
csbs@tiscali.it