LA SICILIA È SOTTO ATTACCO. È ORA DI DIFENDERLA E LIBERARLA DEFINITIVAMENTE
Riceviamo un comunicato dal M.I.S. che pubblichiamo.
I fatti delle ultime settimane dimostrano senza dubbio alcuno che contro la Sicilia è in corso un durissimo attacco. Una guerra non dichiarata, ma assolutamente senza regole e senza quartiere, si abbatte contro la nostra terra da parte di chi, già da quasi un secolo e mezzo, la stringe nel pugno colonialista: lo Stato Italiano. Una guerra che potrebbe riportare in Sicilia un esercito di occupazione della Repubblica Italiana.
Il cui Presidente, Napolitano, va ad aggiungersi all’aberrante coro segregazionista ed isolazionista ai danni degli imprenditori vittime della mafia, ostracizzati dall’editto di Confindustria che, oltre a chiedere il suddetto intervento armato in Sicilia, indica l’espulsione per chi «collabora con la mafia», ovverosia paga il pizzo. Invece di aiutare gli associati, li abbandonano a loro stessi e ai feroci mastini mafiosi, strumento dell’oppressione colonialista unitamente ai teatrini mediatici a base di Bibbie annotate, cartoline “di minacce mafiose” ma scritte in italiano, e scambi di anelli fra detenuti al 41 bis che non potevano sapere dello scambio di cella. Ovviamente, dalla politica italiana nessun “NO” si erge, anzi il Governo plaude. E al coro si sono aggiunte altre dissennate voci, come l’ordine degli Ingegneri di Agrigento, che intende espellere i propri iscritti che incorressero nelle analoghe sfortune. Ci chiediamo: come pretendono di venirne a conoscenza? Per bocca di coloro che così invece costringono al silenzio nell’abbandono del ricatto e della violenza? È una soluzione assimilare le vittime ai carnefici, come anni addietro si fece con spacciatori e tossicomani bisognosi di cure? Sarebbe (ma per fortuna non è accaduto e non accadrà) come se l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia avesse chiesto l’espulsione del bravissimo e coraggioso collega Lirio Abbate, che ha dimostrato negli anni di voler continuare, da giornalista siciliano, la propria missione informativa sul fenomeno mafioso nel cui mirino si trova de tempo.
Così come reagiscono alle estorsioni con pari coraggio i tanti che non cedendo ai ricatti mafiosi e “istituzionali”, come Andrea Vecchio e Marco Venturi, impediscono la definitiva deindustrializzazione italiana della Sicilia.
Ma alle finte solidarietà, che si aggiungono ai discorsetti di circostanza che in queste settimane hanno “ricordato” il Gen. Dalla Chiesa (nel mirino sin dal 1979, troppo “scomodo” per l’Italia che pure alacremente servì), il giudice Livatino, Don Pino Puglisi, Libero Grassi, Pippo Fava, e altre vitime della mafia, si sono aggiunti altri attentati alla Sicilia, ai Siciliani, al futuro del Popolo Siciliano e della Nazione Siciliana. Catania, divelta e abbandonata, sfruttata con appalti truccati e palazzinari nuovamente a briglia sciolta, sull’orlo del baratro per l’incombente dissesto finanziario, vede nuove indagini a carico del Sindaco e di altri esponenti della politica coloniale ed ascara. Nessuna dimissione, l’illegalità è ormai un fatto comune, diffuso, accettato, come sostiene il sostituto procuratore Renato Papa.
Il Governatore della Banca d’Italia, Draghi, ha candidamente ammesso che il Sud e la Sicilia sono un masso al piede dell’Italia. Che ci lascino andare, allora! Ma ci risarciscano, fino all’ultimo soldo, e con gli interessi, i danni di tutte le ruberie italiche che sono servite a ripianare i debiti italiani e a finanziarne lo “sviluppo” (che in Sicilia ha portato solo inquinamento e morte), a partire dalle copiose riserve auree del Regno di Sicilia saccheggiate da Garibaldi. Vedrà, allora, l’illustre economista come freneranno i conti italiani, per tanto, troppo tempo sostenuti dal mercato di assorbimento rappresentato ancor oggi e sempre più dalle colonie megalelleniche. Vedremo come andrà al Nord senza le vessazioni fiscali a carico dei Siciliani.
Che soffrono del sistema di sottosviluppo artificiosamente imposto dall’Italia, e sono troppo spesso costretti all’emigrazione, mai relamente interrottasi (sebbene sfugga alle statistiche ufficiali, ancora ancorate ai cambi di residenza e ai biblici censimenti). Ma che adesso anche la stampa di regime deve ammettere essere in piena ripresa, cogliendo addirittura il pieno plauso, senza alcuna vergogna, dell’editorialista del “Corriere della Sera” Angelo Panebianco, ovviamente convinto che la Sicilia sia solo una “nursery” da disprezzare ed abbandonare quanto prima, ricevendo solo ed esclusivamente una timida risposta contraria dal viceministro siciliano Sergio D’Antoni, unico ad ergersi nel silenzio della connivente e colpevole politica italiana.
La Sicilia per costoro è solo una terra da sfruttare, inquinare, violentare. Proprio in queste ore i tecnici della Panther Eureka stanno effettuando le ricognizioni propedeutiche alle trivellazioni, cui recenti sentenze (di un tribunale amministrativo italiano in Sicilia, e quindi di occupazione, abusivo) hanno dato il “via libera”, assieme al “silenzio-assenzo” il cui termine è stato lasciar scadere dalla Regione Siciliana. A nulla valgono gli enunciati della politica italiana che si dice contraria, anche di quelli che a suo tempo autorizzarono (per proprio tornaconto) lo scempio in Val di Noto (che un noto cronista, ignorando le regole dell’UNESCO per i siti “Patrimonio dell’Umanità”, semplicisticamente vorrebbe suddividere in aree “da proteggere” e aree “da perforare”). Perché la politica italiana parla, promette, enumera, annuncia, ma non agisce, se non contro la Sicilia. Si vedano, ad esempio, le autorizzazioni per la costruzione di quattro enormi, smisurati inceneritori nel territorio siciliano. Invece di iniziare una politica di gestione dei prodotti post-consumo (rifiuti) che inizia in casa con la raccolta differenziata, e prosegue con il conferimento porta a porta (premio lo sgravio delle tariffe sui rifiuti) indirizzato al riciclo o al compostaggio, i politici ascari e colonizzatori costruiscono impianti che, per mantenere l’economicità d’uso, dovranno importare rifiuti da altre regioni, produranno un terzo di ceneri di risulta, vale a dire pericolosissimi rifiuti speciali non più trasformabili e da stoccare pressoché in eterno, ed una massa pari agli stessi rifiuti inceneriti di fumi, gas, sostanze nocive (diossina), e polveri sottili, tanto sottili da infiltrarsi nelle membrane cellulari e causare malattie gravissimi e fulminanti. Questo, senza diminuire di un centesimo le tasse, ma mettendo definitivamente in ginocchio la produzione agricola siciliana, e tutto l’ecosistema siciliano.
È come se ci imponessero di dare fuoco alla nostra spazzatura dentro un grosso barile petrolifero, in casa, a finestre chiuse. Invece porte aperte, anche dai tribunali che del colonialismo italiano sono i centri di potere al pari dei palazzi della “politica”, alla caccia, che miete vittime innocenti nella fauna e anche fra gli umani, permette a personaggi armati di scorazzare nei fondi privati e nelle aree pubbliche (ove i turisti conseguentemente non si recano) senza uno straccio di permesso oltre alla “licenza”. Questo per blandire quei comitati d’affari che ancora sostengono questa pratica assassina che in Sicilia andrebbe cancellata.
In Sicilia urgerebbe una campagna di rimboschimento con piante ad alto fusto, vista anche la vergognosa strage che ne hanno fatto gli incendi estivi, possibili perché nessuno (strumentalmente) vigila. E invece, senza ricambio vegetale, il terreno si impoverisce, diminuisce l’apporto idrico, aumenta l’erosione, le temperature si innalzano. È di questi giorni l’allarme per la drastica diminuzione del raccolto vitifero a causa delle alte temperature estive. E dire che l’uva da tavola tipica siciliana, e i nostri vini, dovrebbero rappresentare l’avanguardia di quelle produzioni di qualità che, da sole insieme alla produzione ittica che è virtualmente un terzo di quella totale “italiana”, salverebbero la Sicilia. Turismo, terzo settore, l’industria di ultima generazione ci proietterebbero nel benessere diffuso, per un popolo di sei milioni di persone.
E invece, ci hanno svenduto come sviluppo i petrolchimici che già quando vennero costruiti erano assolutamente antiquanti e pericolosissimi: infatti furono impiantati solo nelle zone povere soggette alla potestà italiana. Niente mostri fumogeni nei “salotti d’Italia”, niente acque inquinate, spiagge distrutte, bambini deformi o nati morti in percentuali spaventose.
E oggi ci sventolano sotto il naso i rigassificatori, i termovalorizzatori, il Ponte sullo Stretto (che nessuno mai ha progettato definitivamente perché IRREALIZZABILE, ma che adesso vogliono nuovamente promuovere impedendo il normale traghettamento dei treni), nuovi porti per gli yacht di lusso, come quello di Lipari. Ma guai ad ammettere che ogni modifica della linea della costa influenza fortemente le correnti marine, e penalizza l’attività della pesca, dell’itticoltura, della stessa navigazione e fruizione del mare, con perdite economiche catastrofiche. Senza contare gli spaventosi sprechi, da “‘O Scià” a Lampedusa (che vorrebbe sensibilizzare sull’immigrazione, quando per regolarla servono informazione e trattati internazionali chiari, che solo uno Stato Siciliano in prima persona potrà stilare nell’ambito mediterraneo), ai festeggiamenti per i 60 anni di un’ARS ormai morta e sepolta, come la totalità delle istituzioni pubbliche siciliane occupate dagli italiani e dagli ascari al servizio dei loro partiti (vecchi, nuovi, e “futuri” come il costituendo PD neocentralista al pari delle formazioni da cui origina), capaci solo del proprio profitto, senza più alcuna reale politica per la collettività (si veda ad esempio il corteo dei musicisti a Palermo di alcuni giorni addietro).
A queste condizioni, diventa sempre più agevole individuare nel recupero dell’indipendenza politica, economica, culturale della Sicilia l’autentica soluzione definitiva. E infatti non manca zelante la risposta della propaganda italianista: a S. Margherita Belice (non lontano dal “Cretto” di Alberto Burri ove un noto rotocalco ha fatto denudare una nota modella trevigiana per un becero – e conseguentemente sacrilego – calendario) dove ancora sono profonde le ferite del terremoto del 1968 cui malamente e solo per interesse rispose l’Italia (quando nel 1693 nell’allora Regno di Sicilia la ricostruzione del dopo terremoto portò lo splendore del barocco nel Val di Noto), il Sindaco ha imposto agli alunni un alzabandiera mensile. Nessuno a quei bambini insegna che quella bandiera, scimmiottamento di quella francese, è lorda di eroico sangue siciliano, e che la bandiera dei Siciliani è ben altra. Ma non mancano anche le dimostrazioni di coraggio, come l’aperta azione antimafia esercitata in tribunale dal Comune di Partinico, e gli slanci sicilianisti che già in precedenza avevamo plaudito, ad esempio del Sindaco di Capo d’Orlando, Sindoni.
Ma non mancano nemmeno le strumentalizzazioni.
Come la S. Messa in Lingua Siciliana, divenuta, dopo anni di sottaciute volenterose celebrazioni nell’antica lingua del nostro Popolo, una manifestazione “folk”, e in quanto tale inserita dal Presidente della “Provincia Regionale” di Catania, Lombardo (che dopo lo sventolamento “autonomista” ha già pianificato e reso pubblico il ritorno, con accresciuto “potere” personale, all’ovile UDC, partito cui ufficialmente non ha mai cessato di appartenere) in una mostra sul folklore. Quindi, la religiosità e l’identità linguistica dei siciliani ridotta a spettacolo da baraccone. Quando è palese che proprio l’imposizione, al posto del latino che è “lingua madre” del siciliano (la figlia più similare, sebbene con le sue spiccate peculiarità dovute alle ascendenze greche, arabe, sicule e non solo), dell’italiano (lingua “sorella minore” del siciliano, se non in parte addirittura “figlia”) nella Messa è funzionale a quel meccanismo assimilazionista che vorrebbe “italianizzare” i siciliani, anche evitando la ratifica della “Carta Europea delle Lingue Regionali o minoritarie”
Ma sono proprio i siciliani a testimoniare ogni giorni che loro, non intendono tacere. Lo dimostrano le ormai quotidiane manifestazioni sui più disparati temi, dalla richiesta di restituzione della Venere di Morgantina (che da ieri, ma nessun media ci tiene a sottolinearlo, è ufficiale che sarà restituita solo dopo il 2010), ai comitati contro le trivellazioni, il Ponte sullo Stretto, gli inceneritori, le estorsioni, e non solo. Tutte manifestazioni di una volontà unica, quella di rientrare in possesso della propria terra, della Sicilia.
Manifestazioni che crescono, cresceranno, al fianco e al pari di quelle che in queste ore affollano le strade della Birmania, in marcia con monaci, monache, intellettuali, artisti, gente comune, incuranti della repressione, del coprifuoco, delle cariche dei militari, della morte di alcuni manifestanti come è stato oggi annunciato, delle stesse sanzioni che servono a piegare gli oppressi e non gli oppressori. Ogni lotta per la libertà, la democrazia, l’indipendenza è la lotta dei Siciliani e del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia.
Anche noi abbiamo visto i nostri fratelli cadere sotto il fuoco italiano, come a Palermo nel 1944 o a Randazzo nel 1945. Abbiamo creduto all’accordo con l’Italia, ma ormai è chiaro che il Re è nudo, i mercanti sono rientrati nel tempio, è ora di riprenderci la nostra Sicilia, la nostra Patria. Con rinnovata forza convintamente nonviolenta ed incessante. Fino al trionfo finale.
Catania, 26 Rigustu 2007
A cura dell’Ufficio Stampa, Comunicazione e Propaganda del M.I.S.