Gli speculatori finanziari prendono di mira i beni alimentari

22 agosto 2007 (MoviSol) – I prezzi delle materie prime alimentari stanno crescendo rapidamente, anche a causa dei consigli dati da Goldman Sachs e altri speculatori, ad investire nei beni di origine agricola, zucchero, mais, grano e caffé.

I nodi vengono gradualmente al pettine. Un broker specializzato in questo tipo di investimenti, intervistato da Bloomberg.com ha detto che “pur in presenza di un tracollo globale, i beni agricoli non saranno influenzati poiché la gente continua a mangiare. Acciaio, ferro, nickel possono anche soffrire [un calo dei prezzi]. Ma la gente andrà comunque nei negozi per comperare pane e patate.”


Dunque, gli stessi speculatori e direttori di hedge fund (tra i quali Marc Faber e l’ex socio di George Soros, Jim Rogers), che si sono resi responsabili dell’attuale collasso finanziario, sono dietro alla corsa al controllo delle risorse alimentari del pianeta, causando un aumento stratosferico dei relativi prezzi. In una email del 16 agosto scorso, Faber ha scritto che i prezzi delle risorse agricole sono “attraenti”, e ha consigliato i suoi clienti a investire in esse. Si sta già parlando, nell’ambiente dei broker, di un raddoppio del prezzo dello zucchero previsto nei prossimi mesi.

Quali sono le cause dell’iperinflazione globale delle risorse alimentari?
Un gallone di latte al dettaglio, negli Stati Uniti, è cresciuto di più del 15% in soli sei mesi ($3.29 a gennaio 2007 – $3.80 dollari a luglio 2007). Altri prodotti alimentari hanno subito degli aumenti del 50%. In Francia, i prezzi del latte sono cresciuti del 5-10%. Nel Paese che è massimo produttore di latte a livello europeo, la Germania, il prezzo del burro è cresciuto nel mese di luglio da €0.79 a €1.19, mentre quello del formaggio fresco del 40%. In Italia la De Cecco ha già annunciato un rincaro dei prezzi della pasta del 20% a settembre a causa del rincaro del prezzo del grano duro del 50%.

L’inflazione del latte è indicativa del paniere aliementare, che contiene anche farinacei, carni, dolciumi, ecc. Il tasso di inflazione sul cibo per il primo semestre del 2007 negli Stati Uniti supera il tasso annuo riscontrato nel 2006. Il Bureau of Labor Statistics prevede una crescita dell’8% in quest’anno nei costi sostenuti per l’alimentazione; tuttavia, si sa che l’ente statistico è solito sottostimare. Le organizzazioni di soccorso mondiali stanno riducendo le proprie forniture di cibo destinato all’assistenza degli affamati, poiché i loro fondi non sono sufficienti a comprare beni divenuti improvvisamente più costosi. Ad una conferenza sulla povertà tenuta a Manila agli inizi di agosto, s’è discusso infatti della minaccia di aumento delle vittime della fame.

Perché dunque, c’è iperinflazione?
I media, ormai sottoposti ad un controllo globale, cercano di far passare una giustificazione che si articolerebbe in due soli aspetti:
1) la responsabilità sarebbe della Cina, perché intenta a sottrarre dai mercati internazionali tutto il cibo disponibile, sia in termini di volumi, sia in termini di tipologie (“nuove” per i consumatori cinesi, abituali per noi: yoghurt, e altri prodotti caseari);
2) la speculazione sul bioetanolo starebbe sottraendo dal mercato alimentare tutto il mais prodotto.

Tuttavia, anche se l’ordine “biasimate la Cina” riflette una realtà, e i biocarburanti sono un ottimo capro espiatorio, non si sta fornendo un’immagine completa dell’intero problema. La storia si compone anche di altri aspetti, alcuni dei quali sono:

a) Le riserve di grano a livello mondiale sono in constante declino da molti anni, da prima che prendesse piede l’idiozia dei biocarburanti. Le riserve di riso sono al loro minimo, cosiderando un periodo iniziato negli anni ’70. Subendo i trattati GATT/OMC, le nazioni sono state costrette a porre fine alle loro politiche di accumulo delle riserve di frumento, per affidarsi invece ai “mercati mondiali”.

b) I produttori di latte e latticini sono stati posti, progressivamenete e in numero crescente, in condizioni di non poter più lavorare, osservando un incremento dei costi di produzione e un abbassamento dei prezzi imposti al loro latte fresco. In Francia, per esempio, a fronte di 3,8 milioni capi gestiti da circa 100000 allevatori, circa 5000 addetti ogni anno abbandonano l’attività, alla ricerca di lavori pagati meglio e meno pesanti. Al contempo, in giro per il mondo sono stati costruiti allevamenti e fattorie che ospitano lavoratori in condizioni di quasi schiavitù: Haiti e lo stato dell’Hidao sono due esempi di regioni selezionate per costituire la “fornitura globale” di cibo.
Il 12 marzo 2007 il senatore democratico Patrick Leahy del Vermont ha presieduto un’audizione concernente una “rete di sicurezza” per gli addetti al settore latticino-caseario, facendo notare che le fattorie non potranno sopravvivere a meno di prezzi equi per il latte da esse prodotte. Egli ha constatato che i costi sempre al rialzo dei carburanti e dei mangimi sono cause di fallimento di numerose attività.

c) Le multinazionali del cibo ADM, Cargill, Bunge, Kraft, ecc. stanno ricavando enormi profitti. Oltre che dall’impostura dei biocarburanti, i profitti derivano dalla speculazione sui passaggi commerciali. Di un dollaro pagato dal consumatore finale, il produttore vede poco e niente. Una pagnotta che al banco del forno costa due euro, contiene 6 centesimi di frumento. Se un tempo un allevatore riceveva il 60%-70% del prezzo pagato dal consumatore finale per il latte acquistato, ora riceve il 30%, e mentre scriviamo questa percentuale sta calando ulteriormente.

d) Un clima avverso, a fronte di un’agricoltura messa alle strette, significa carestia. In Australia la siccità quest’anno ha causato un calo di un miliardo di litri di latte. A livello mondiale, dei 620 miliardi di litri prodotti, soltanto il 7% è esportato, e la crescita dei prezzi è stata spettacolare: l’anno scorso il prezzo del latte in polvere è cresciuto dell’80%, mentre il burro industriale del 50%.

Tratto da Movisol www.movisol.org/07news130.htm