Così parlò l’oracolo di Bankitalia
IL MACIGNO DEL DEBITO PUBBLICO di Carmelo R. Viola
Siamo davvero alla versione fondamentalista del capitalismo. La
peggiore. I grandi uomini d’affari fanno la voce grossa: niente più politica
nelle loro faccende. E politica sta per Stato. E, infatti, oggi meno che mai è
il Consiglio dei Ministri – il Governo! – a tracciare le linee di comportamento
dell’economia (benché si tratti di predonomia), ma addirittura la corporazione
degli sfruttatori del lavoro (giorni fa abbiamo sentito Montezemolo) e quella,
molto più temibile dei banchieri, in Italia capeggiata da Bankitalia (ovvero da
una società per azioni di padreterni), il cui ras, alias “governatore”, ha
appena parlato alla stregua di un oracolo. Il quale è una specie di
totem-saggezza istituzionalizzato, che legge la realtà e ne intuisce le
soluzioni per migliorare la situazione d’insieme.
Peccato – mi permetto
di dire tra gente allibita – che le sentenze, sibilline od oracolari in
questione, siano un’accozzaglia di idiozie maturate sulla taciuta menzogna di
base che la situazione in causa non è il bene della gente – anzi, del singolo
individuo (se è vero che tutti i cittadini sono, in teoria, uguali davanti al
diritto!) ma quel sistema, gestito e fruito dagli affaristi (industriali e
banchieri), il cui unico scopo è – o no? – quello di arricchirsi senza misura
sottraendo ricchezza alla collettività (ovvero di realizzare la ben nota, almeno
da Marx in qua, “accumulazione di capitale”). Per inciso: sottrarre può essere
sinonimo di rubare.
Che ha sentenziato, in sostanza, il boss della
suddetta SpA, il più grande istituto di usura (qualcuno aggiunge “e di
ladrocinio”) della “patria del diritto”? Intanto – l’edulcorante del purgante
amaro – che l’economia migliora, più precisamente, è in ripresa e che è ora di
passare alle riforme. Vedremo poi quali…Le lagrime più calde – e più
agghiaccianti (!) – gli sono sgorgate quando ha dovuto richiamare i distratti
italiani alla piaga, purulenta, cronica e inguaribile, del debito pubblico che –
ripeto a memoria – pesa su ognuno di noi come un macigno!
Una seconda
barzelletta (perdonatemi l’impudenza), ricetta seria e seriosa come le battute
che solo i grandi macchiettisti sanno recitare , è la raccomandazione di ridurre
le tasse e le spese pubbliche per dare slancio ai consumi! Il lettore
intelligente cerchi di evitare di ridere sbruffando per non sporcare della carta
stampata che vale più di certe omelie laiche. Occorre poi che ci sia più
competitività fra imprese sia private che pubbliche (ma di queste ce ne sono
ancora?). Che si insista sulla liberalizzazione dei mercati dei servizi (e,
ovviamente, del lavoro considerato una merce-servizio). Ma la vera grande
riforma è quella che riguarda la previdenza, una volta impegnata a rendere
dignitosa la vecchiaia con una pensione retributiva, oggi solo ridotta alla
percezione dei contributi già versati. Il rais bancario consiglia di alzare via
via l’età pensionabile e d’ingrossare il compenso postlavoro con una polizza
integrativa (ovvero aumentando il potere bancario!).
Ma perché questa
ricetta a lungo termine abbia efficacia è perentorio che tra banche e politica
non ci siano commistioni di sorta, in parole povere e crude, che i padroni dei
mezzi di produzione e della ricchezza facciano il loro mestiere di “liberi
predatori” senza alcuna interferenza da parte del potere politico ridotto a puro
arbitraggio burocratico.
Premesso che la litanie delle idiozie è quasi
sempre la stessa, anche l’analisi rischia di diventare monotona. Ma non è colpa
nostra. Cominciamo dalla barzelletta, cretina e cretinizzante, del debito
pubblico, vera palla di piombo al piede di uno Stato-oggetto, non più soggetto.
Se queste considerazioni se le facessero tutti i politici e i sindacalisti –
specie se sedicenti “di sinistra” – si avrebbe già una risposta equa e
ragionevole, una base su cui poggiare l’analisi stessa. Per intenderci è
indispensabile interpretare-tradurre parole e locuzioni di un paradiscorso
manicomiale. Il “pubblico” è, nel nostro caso, l’impresa finanziaria privata
verso cui lo Stato-servo si rende debitore come un qualsiasi poveraccio che deve
superare un’impellenza. Pubblico non è il bambino che ha fame o l’adulto che non
ha lavoro o il padre di famiglia che non sa come sfamare i propri cari e meno
che mai il paziente che si trova in grave difficoltà per sostenere le crescenti
spese sanitarie. Anzi, tutti i cittadini – dai ricchi epuloni ai barboni sono
parimenti debitori: è uno dei pochissimi casi in cui il popolo è lo Stato (ma
solo perché soggetto passivo!). Donde l’altrettanto ridicola macchina del fisco
per recuperare via via quanto si deve alla piovra bancaria (interessi compresi).
Debito pubblico vuol dire dunque “servaggio bancario”: pressione fiscale con
ridicola rincorsa degli evasori!
In queste condizioni il popolo dovrebbe
consumare di più (non importa che) e questo per consentire agli sfruttatori del
lavoro di produrre più merce ovvero più Pil (che sta anche per “prodotti inutili
liberalizzati”)! Un giro vizioso – produzione-consumo-produzione – teso solo a
far girare i conti di affaristi e banchieri. Ci troviamo davanti alla situazione
– tutta da riderci sopra – di chi, per ingordigia, si abbuffa per un giorno
intero non avendo poi cosa mangiare per una settimana. Eppure ci sono
sfruttatori di lavoratori che corrono il rischio di ricevere l’onorificenza di
“cavalieri del lavoro (leggi “dello sfruttamento del lavoro”).
Alzare
l’età del pensionamento vuol dire aumentare la disoccupazione e proporre
l’integrazione (bancaria!) della pensione vuol dire farsi beffa dei precari e di
quanti, costretti ad adeguarsi alle ultime esigenze delle imprese affaristiche,
non hanno un “posto fisso” – con questo intendendo solo un lavoro e un potere di
acquisto stabili e sicuri. L’esortazione alla concorrenza è l’antropozoico
“richiamo della foresta”, che la tecnologia stessa rende solo apparente.
Infatti, l’effetto della concorrenza è il rafforzamento dei più forti che
tendono a coalizzarsi e a formare un monopolio di fatto (vedi la
liberalizzazione del servizio postale!), mentre i più deboli tendono a
scomparire, non potendoci essere condizioni di parità di gara (concorrenziale)
fra soggetti con potere finanziario molto differenziato.
E’ fin troppo
chiaro che il miglioramento, di cui parlano i vari vati, più o meno
“governatoriali” (dai Montezemolo ai Draghi) – cui fa da cassa di risonanza
l’indefinibile “primo cittadino” – si riferisce esclusivamente al “quadro di
parametri” del sistema, tra cui quello della maggiore governabilità demagogica
di un popolo sempre più disinformato (circa la vera natura del “capitalismo da
foresta”), sempre più distratto, sempre meno popolo. Un’ultima annotazione
potrebbe essere questa: che mai come in rapporto al fondamentalismo predonomico
la matematica non vale più di una vaga opinione!
Centro Studi Biologia
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